Zdenek Zeman è il protagonista di una lunga intervista pubblicata stamattina da Il Corriere dello Sport. L’allenatore boemo è stato interrogato su più temi che riguardano il calcio italiano ed è tornato a parlare della sua esperienza alla Roma, finita con l’esonero di febbraio scorso. Per il tecnico 65enne il campionato di Serie A è stato “mediocre” ed è stato ormai vinto dalla Juventus che ha dimostrato di essere la più forte e di “crederci più di tutte e la società ha messo chiunque nella condizione di poter lavorare”:

Il calcio italiano è in piena crisi di valori etici, dominato dagli interessi di sponsor e merchandising e alla continua ricerca di soldi. Vent’anni fa era diverso: esistevano gli uomini-simbolo, ora dominano le tv. Si ha impressione che il calcio sia loro ostaggio. Per una parte della classe dirigente sembra sia più importante cosa succede fuori dal campo.

L’allenatore che nella scorsa stagione portò in Serie A il Pescara ha rivelato di apprezzare molto il gioco di Bayern Monaco e Barcellona, mentre per quanto riguarda gli allenatori ha speso parole positive per Heynckes e per Conte. Quindi il racconto di quanto successo a Roma negli ultimi mesi:

Quando sono tornato a Roma, l’ho fatto innanzitutto per affetto, perché sono legato al club, perché volevo ripartire – tredici anni dopo – e provare a regalare ai tifosi le stesse soddisfazioni di Pescara. Oggi, a posteriori, non saprei dirle perché sono stato chiamato, né perché mi sia stato proposto un biennale. Ho scelto lasciandomi guidare dai sentimenti: ho pensato ai tifosi, alla Roma.

Zeman ha ricordato che alla fine del 2012, dopo aver battuto il Milan, la Roma veniva considerata un po’ da tutti gli esperti la squadra che, insieme alla Fiorentina, offriva il miglior calcio in Italia. In ogni caso il boemo ha spiegato qual è stato il problema che è sorto nella Capitale al suo arrivo:

Posso soltanto dire che soltanto dopo essere arrivato qua, e non poteva accadere diversamente, ho scoperto che tra me e chi mi aveva voluto c’erano due visioni diverse del calcio. Ci è mancata l’unità di intenti.

Durante la stagione molto si è parlato delle regole da rispettare e di come l’autorità di Zeman abbia di fatto spaccato lo spogliatoio, complice anche l’assenza in questo senso della società:

E poi esiste il rispetto delle regole. Chi arriva in un club così prestigioso, non deve pensare di aver raggiunto l’obiettivo. deve poi confermarsi (…) Forse ho sbagliato nel pensare e nel credere, venendo alla Roma, che tutti avessero il mio stesso entusiasmo e la mia stessa concezione del calcio, il desiderio di vincere.

Zeman ha proseguito rivendicando anche quanto di buono è stato fatto a Roma:

Io ai ragazzi chiedevo solo che si allenassero. Non ho avvertito un clima così complicato, onestamente. Penso di aver lasciato qualcosa: la finale di Coppa Italia la sento mia, ad esempio. E poi, a parte qualche risultato negativo, c’è un lavoro dietro: fare nomi non è piacevole, ma Marquinhos, che è un ’94, si è messo in evidenza. Altri hanno guadagnato la Nazionale. E poi penso ai progressi di Florenzi, di Castan, di Lamela, alle reti segnate da Osvaldo, a ciò che secondo me ha dato Tachtsidis.

Il boemo ha speso parole di grande stima nei confronti di Francesco Totti (“un esempio, un modello, il primo ad arrivare al campo, l’ultimo ad andarsene”) mentre ha spiegato così i motivi delle ripetute esclusioni di Daniele De Rossi:

Non ho mai guardato al nome ma alle prestazioni, valuto in base ai meriti e a quello che dice il campo. Leggendo i giornali, ad esempio, aveva una media di 5,42. Io non vivo del passato ma del presente.

Dopo aver chiarito che Stekelenburg è stato messo in discussione perché quando è rientrato dall’infortunio di Parma “non ho colto in lui il desiderio di riconquistare il posto”, il tecnico ha ammesso di aver apprezzato l’interesse che Massimo Moratti sta esprimendo da settimane nei suoi confronti; il boemo non ha escluso un suo trasferimento sulla panchina dell’Inter, sebbene ieri il patron nerazzurro abbia di fatto confermato Andrea Stramaccioni:

Sono fiero di questo accostamento, le gratificazioni sono motivo d’orgoglio. Moratti è un presidente-appassionato, un manager che è innamorato della propria società. Nessuno rifiuterebbe i nerazzurri.

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Rassegna stampa 23 aprile 2013: prime pagine di Gazzetta, Corriere e Tuttosport

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