Non è importante come si scrive, in fondo tiqui-taca e tiki-taka si leggono entrambi alla stessa maniera, ciò che davvero conta è che aveva stancato i tifosi, forse anche quelli del Barcellona: il club catalano con Guardiola prima e Vilanova poi aveva brevettato un metodo di gioco che quattro-cinque anni fa, quando comparve sui rettangoli verdi spagnoli prima ancora che continentali, fece sembrare quella fitta e spesso inutile rete di passaggi come un distillato di bel calcio, un modo di tessere trame e tele come un altro, solo molto più elegante e alla lunga anche efficace. Il possesso di palla prima di tutto, il diktat di Guardiola era entrato nelle teste dei giocatori in maniera così impetuosa che alcuni tra i più forti talenti di questa generazione spagnola, ora forse sul viale di un dorato tramonto, hanno finito per non saper fare altro. Un bel modo, comunque, di stare in campo e di interpretare la partita, soprattutto se l’obiettivo è racimolare trofei: i vari Puyol, Piqué, Iniesta, Busquets, Xavi e Pedrito (ma ne dimentichiamo qualcun’altro) hanno vinto in un quadriennio tanti trofei tra club e Nazionale più di quanti ne può vantare la maggior parte delle squadre in Europa.

Il problema della manovra orizzontale, con repentine accelerazioni spesso letali per gli avversari, è che alla lunga, svanito l’effetto novità, mette a dura prova la pazienza dei tifosi, e non solo quelli avversari: il calcio del dai-e-vai ripetuto alla noia è soporifero, scontato, e se ancora ci sono estimatori della filosofia blaugrana è perché Lionel Messi, con la sua classe e i suoi lampi improvvisi, cerca di dare un senso a un gioco altrimenti completamente inutile. Quando qualcosa si inceppa in attacco, il risultato è ridicolo come quando con quasi l’85% del possesso palla in quel di Glasgow la squadra che l’anno scorso era allenata da Vilanova finì col perdere 2-1 contro il Celtic. La musica però sembra essere cambiata e, udite udite, i primi a esserne contenti sono i giocatori; almeno a sentire Gerard Piqué che in un’intervista alla Gazzetta dello Sport spiazza tutti:

“Abbiamo giocato gli ultimi anni con allenatori della casa, prima Pep e poi Tito, e forse abbiamo finito con l’esasperare il nostro stile di gioco al punto che ci siamo ritrovati schiavi del sistema, di quello stile. Ora è arrivato il Tata, che viene da fuori, che condivide la stessa idea di calcio, il tener palla, però ci sta mostrando opzioni diverse. E la cosa è molto positiva, perché ci offre varianti. Quando ci pressano, fare un paio di lanci lunghi non è negativo, serve per cambiare gioco, ossigenare, evitare che ci schiaccino e ci lascino senza uscita”.

I comandamenti della “gestione” precedente erano: palla a terra, nei piedi, possesso palla a costo di ricorrere a banali vie orizzontali per due, tre volte di fila. E quando si perdeva la sfera, in due-tre, a volte anche quattro ferocemente sull’avversario in pressing asfissiante (la tenuta atletica dei catalani ha sempre sollevato borbottii maliziosi). Idea semplice e anche efficace quando interpretata da gente coi piedi sopraffini, ma, ripetiamo, alla lunga frustrante. E, soprattutto, obsoleta: il calcio è in continua evoluzione e il 7-0 che l’anno passato il Bayern ha rifilato al Barça ha forse decretato la fine di un breve quanto intenso interregno del tiki-taka in salsa blaugrana. Pensavamo di essere piombati in un incubo, una prigione per il nostro concetto di calcio, per noi comuni e mortali tifosi che di fronte al televisore non smettevamo di sbadigliare: evidentemente anche i giocatori erano esausti.

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ultimo aggiornamento: 10-09-2013


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