Massimiliano Allegri non è un allenatore come tutti gli altri, d’altronde anche quando giocava a calcio era un personaggio bizzarro, o quanto meno diverso; ha avuto diverse guide tecniche durante la sua carriera, ma non ha mai fatto mistero di aver un unico e importante maestro, quel Giovanni Galeone che regalò sprazzi di grande calcio al popolo di Pescara. Poi ha percorso il solco tracciato dalla tradizione toscana, mettendo al servizio del suo lavoro (anche in questo caso, sia da calciatore che da allenatore) quel pizzico di genialità e follia che al netto degli incidenti di percorso gli hanno consentito di ascrivere il proprio nome tra le personalità più importanti del nostro calcio. Di quello di inizio millennio, quello cioè impregnato di tecnologia, di schemi e di statistiche, quello sempre più spesso ridotto a materia scientifica a discapito di rare, rarissime ispirazioni di stampo artistico, poetico, quelle che per Allegri risultano ancora imprescindibili:

“Non sono un maniaco degli schemi ma un estroso: non posso stare 24 ore di fila a cercare una soluzione, devo aspettare che arrivi l’ispirazione e il più delle volte capita quando non ci penso: capita che di notte cambi la formazione che avevo deciso, per esempio. La realtà è che si vive di sensazioni. È una cavolata dire che la partita si capisce meglio dalla tribuna. Lassù sei fuori, invece devi stare dentro il campo, percepire, cogliere uno sguardo, un momento. Il calcio non è solo tattica e schemi”.

Il tecnico livornese si sfoga in un’intervista a La Repubblica, esternando con forza e convinzione il suo imprescindibile credo, quello che in panchina – e perché no in allenamento – lo porta ad essere più riflessivo di certi colleghi, più elegante, con più aplomb ma non per questo molle o senza cattiveria:

“Qualcuno vuole far passare il calcio per scienza ma non c’è un cavolo di niente di scientifico. È uno spettacolo, e lo spettacolo lo fanno gli artisti. Qui vogliono spoetizzare il calcio, soffocare la creatività: è questo l’errore più grande che stiamo facendo. Se togli la poesia, allora tanta vale giocarsela al computer. Possiamo parlare per ore di schemi e organizzazione, ma le partite le vincono i giocatori. Se hai Messi, parti già quasi da 2-0. Con Ronaldo idem. Se l’autorevolezza di un allenatore deriva dall’urlare, io non ne ho. A me chi urla non trasmette niente, mentre ci sono persone che parlano piano e infondono sicurezza, anche timore. Ma il mondo della leadership è ancora tutto da scoprire, per noi allenatori. Una parola detta in un certo modo può cambiare le cose. Forse è in questo campo che si può sorprendere”.

Bordate ad alcuni colleghi sicuramente più sanguigni ma non per questo necessariamente più vincenti, così come riserva qualche fracciatina a Zeman e a Sacchi, con quest’ultimo ha già battibeccato spesso in tv:

“Sacchi ha stravolto il calcio ma a quell’epoca era più facile portare novità. Prima che tutto fosse filmato e analizzato, ci si metteva tre anni a capire come neutralizzare il 4-3-3 di Zeman. Oggi non puoi più sorprendere: per questo devi affidarti al talento. Un collega che stimo particolarmente? Montella, mi piace come fa giocare la sua Fiorentina”.

Prima di parlare di Juve, Allegri vuole ribadire una volta di più il concetto di un calcio più libero dagli schemi e più schiavo del talento:

“Il calcio si fa su un prato di 106 metri per 68, si corre con i piedi, si gioca con i piedi, la palla spesso prende giri strani e si pretende che in queste condizioni la soluzione la diano delle situazioni schematiche? Se gli schemi servissero a vincere, perché il Real Madrid ha speso cento milioni per Bale, che molto semplicemente dribbla, tira e spacca la porta? Bisogna saper andar oltre la tattica, gli schemi sono solo una traccia. Se hai gente come Ibra, Seedorf, Pirlo, Tevez, Nesta, Thiago Silva, Bonucci, è a loro che ti devi affidare. A loro e alla creatività. In Italia se vai a vedere una partita, ti segni su un foglietto il modulo, t’addormenti e dopo un’ora ti risvegli, trovi i giocatori esattamente nelle stesse posizioni di prima. In Europa fai invece fatica a capire come gli altri giocano, non c’è rigidità. Ma loro imparano da bambini a occupare il campo per intero, al contrario di noi”.

Dulcis in fundo, Allegri si rivolge ai tifosi bianconeri:

“Ho un gruppo di ragazzi in gamba che si sono rimessi in discussione, che vogliono ancora vincere. E ho detto loro che mi incazzo molto se non migliorano, perché hanno potenzialità tecniche e fisiche veramente notevoli. Lo dico anche pensando alla Champions. Il sorteggio poteva andarci peggio, lo dice uno che ha incrociato un sacco di volte il Barcellona. Il Borussia è alla nostra portata, anche se è difficile capire quale sia il suo vero valore e soprattutto come lo troveremo a febbraio. Ma in Champions possiamo fare grandi cose”.

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ultimo aggiornamento: 17-12-2014


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