Gigi Buffon bandiera della Juventus più di Alex Del Piero? S può fare. Del resto, a 37 anni, il portierone e capitano dei bianconeri è già simbolo. Questo è il quindicesimo anno con la stessa maglia, il senso di appartenenza ha permesso a SuperGigi di diventare leader anche nello spogliatoio, aiutando i giovani a crescere e a integrarsi nell’ambiente Juve.

Di tutto questo ha parlato ieri il numero uno durante una lezione allo Juventus Stadium. Un evento organizzato da Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia, Dino Ruta, docente di Human Resources e Sport Management presso la Sda Bocconi, School of Management dell’Università Bocconi.

“Mio padre e mia madre, che avevano ottenuto successo in un’altra disciplina sportiva, mi hanno aiutato moltissimo. Il talento è una dote naturale e un’ottima base di partenza, ma se non lo si supporta con la perseveranza e l’abnegazione, si rischia di diventare campioni inespressi o talenti effimeri”.

Parla della sua infanzia, Buffon:

“Ero esuberante per natura, il modo di bacchettarmi dei miei ha fatto sì che non andassi fuori strada. Ero consapevole delle mie doti e della fiducia che veniva riposta in me, ma avevo anche una strafottenza buona, una sicurezza che si è rivelata un’arma importantissima. Per restare a certi livelli, però, si devono fare sacrifici e rinunce. Io, dopo i 30 anni, ho aumentato l’attenzione ai particolari e ai dettagli, prendendomi più cura di me stesso. Poter giocare con ragazzi di talento mi stimola e mi ringiovanisce. Si deve cercare di trovare un linguaggio comune, però, e quando si danno loro dei suggerimenti, si deve trovare possibilmente una maniera scherzosa, non pedante”.

La carriera è cominciata nel ruolo di attaccante:

“Volevo emulare le gesta di qualche campione che giocava nelle squadre al top. Cominciai nel Canaletto e mi piaceva fare gol. Altro che parare. Poi, di punto in bianco, nel ’90 mio padre mi consigliò di fare il portiere. Andai a Parma e l’escalation fu abbastanza rapida”.

Dispensa consigli da saggio, Buffon:

“Penso di essere stato un ribelle, ma credo che se a 37 anni avessi mantenuto lo stesso carattere, ora sarai solo un emerito cretino. Magari un grande portiere, ma un eterno peter pan, un ragazzino”.

E scherza:

“Il mio periodo buio tra il 2003 e il 2004? Mi hanno aiutato le droghe. E’ una battuta. E’ stato un momento di crescita. Ero contento per il ruolo che mi ero ritagliato, ma non ero soddisfatto come uomo. Ancora oggi faccio fatica a venire a capo di me stesso. Ma sono molto più sereno, raziocinante, equilibrato. Mi piace fare autocritica, ispezionarmi e capire cosa fare per trarre il meglio da me stesso e benessere da questa vita. Il bello della vita è capire come crescere. Della mia, non rinnego nulla. Ho sempre pagato per i miei sbagli. Sono gli errori, in fondo, a farti crescere”.

Il rapporto con la Juve:

“Nel momento in cui capisci e conosci il lignaggio e la storia della Juve, sai quali devono essere i tuoi comportamenti. Ci sono momenti in cui ti chiedi se andare avanti o meno. A me è capitato due o tre volte in cui poteva andare a finire diversamente, ma credo che il senso di appartenenza sia un valore da ritrovare. In fondo, è questo che emoziona il tifoso. Si devono creare le sinergie giuste perché il rapporto sia duraturo. Io bandiera come Totti e Del Piero? Se c’è una doppia spinta, da società e giocatore per proseguire lungo un cammino comune, perché no?”.

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ultimo aggiornamento: 11-02-2015


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