E’ milanista, Marco Parolo. Da sempre. Nel cuore e nell’animo. Ma è anche un professionista, ormai attaccatissimo alla maglia del Parma che fu l’unico club a credere davvero in lui dopo l’anno da dieci in pagella di Cesena in compagnia di Giaccherini e Schelotto. Era milanista e avrebbe anche potuto esserlo: quando il giovanissimo Parolo a 12 anni calcava i campi dell’Alto Milanese con la maglia del club dilettante Soccer Boys (di Turbigo, cercatelo sulle cartine geografiche se ci riuscite), comunque fucina di buoni talenti che poi riempiono i palinsesti delle categorie Eccellenza e Promozione lombarde, il ragazzino “terribile” fu segnalato al Milan.

Il pedigree c’era, non soltanto le prestazioni, e quindi ci fu anche il provino di questo centrocampista esile ma dalla corsa pulita e dai piedi ben educati. Non un trequartista, ruolo nel quale lo testarono i rossoneri rispedendolo a casa con un secco no. Piuttosto, un centrocampista moderno nativo di Gallarate (a quattro passi pure da Milanello) che attira di conseguenza le attenzioni di tutti gli altri club professionistici del circondario. Tra questi, il Como, che lo aggrega per fare gli Allievi. Da qui la scalata fino alla prima squadra e la gavetta in giro per l’Italia che incluse anche diversi mesi a Foligno, tanto per dire.

Ebbene, questo Marco Parolo, che nel frattempo si è anche conquistato l’attenzione dello staff della Nazionale, collezionando qualcosa come oltre 110 presenze nella sola massima serie, ha giustiziato il Milan di Allegri certificandone crisi di risultati, di identità e di tenuta psicologica. Nessuna conseguenza alla Luiso-Tabarez (3-2 a Piacenza, esonero dell’uruguagio) ma non ci siamo lontani.

Otto metri più, otto metri meno. Perso per strada anche Balotelli, dopo le vicissutidini con El Shaarawy, e il ritiro forzato: quest’anno entrare nelle tre di Champions League è impresa ardua, basta guardare in alto, tra sorprese e conferme, e rendersi conto che contro le “provinciali” ormai quasi nessuno di quelli che aspirano a un posto al sole ci lascia punti. La Serie A sta mutando, e il Milan pare essere rimasto tremendamente indietro. L’ennesima nemesi non è più un indizio, e cambiare registro non sembra più nelle capacità di leader di un Allegri sfiduciato prima ancora dei propri giocatori.

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ultimo aggiornamento: 29-10-2013


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