Gran partita, non c’è che dire. Sono trascorse ormai diverse ore, e praticamente un intero turno di campionato, eppure Lazio-Juventus ha lasciato qualcosa che nel calcio italiano troppo spesso non resta. Quella sensazione di spettacolo, di vibrazioni, di “scazzottata” calcistica tipicamente anglosassone, a un certo punto veramente serrata nonostante nessuno possa aver detto troppo semplicisticamente che “sono saltati gli schemi”.

Certo, la Juventus è rimasta in dieci molto presto, e praticamente sotto di una rete. Un dato che può far riflettere: finalmente una partita vera, aperta anche da parte dell’avversaria (dopo la superiorità numerica), rocambolesca per certi versi, dove l’una o l’altra avrebbero potuto superarsi senza recriminazione. Uno show insomma, uno spot (finalmente) in una gara serale.

Eppure qualcuno ha steccato nell’orchestra generale. Cavanda da una parte, notizia non nuova quando si tratta di partite di un certo livello, davvero sotto la media sia nei fondamentali tecnici che nelle decisioni tattiche, e Bonucci dall’altra. Già, Bonucci, un titolarissimo della Juve dei due scudetti e mezzo. Calciatore con pregi e difetti talmente evidenti da riuscire sempre ad aprire i dibattiti.

Impreciso negli anticipi, talvolta anche scellerato, bravo nelle chiusure e nei rilanci, un po’ supponente, lento nei primi tre passi, ottimo nel senso della posizione. Ma insufficiente a Roma e ancora una volta poco convincente nella linea a quattro chiamata forzatamente da Conte.

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ultimo aggiornamento: 26-01-2014


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