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Quando decise di dire basta col calcio giocato, correva l’anno 2009, Paolo Maldini aveva indossato la maglia del Milan, l’unica della sua carriera, in 902 occasioni ufficiali: una bandiera, senza ombra di dubbio, una delle ultime, uno dei difensori più forti della storia del calcio italiano e, va da sé, del Diavolo; eppure in un pomeriggio di fine primavera la curva lo fischiò, per attriti all’epoca recenti, in società nessuno prese le sue parti, poi cominciò a defilarsi e della sua ventennale esperienza a Milanello rimase poco o niente. Qualche intervista, opinioni, ma nessun ruolo né ufficioso né ufficiale in rossonero, non a livello dirigenziale, neanche uomo immagine o ambasciatore, con frecciatine sempre acuminate e velenose, seppur piccole, rivolte alla proprietà. Non tanto al grande capo Silvio Berlusconi, quanto al suo braccio destro Adriano Galliani, come quelle scagliate oggi tramite le colonne rosa della Gazzetta dello Sport: più che piccole bordate sembrano silurate che vanno ad abbattersi su un cumulo di macerie, quelle che rimangono del disastro Milan di quest’anno.

La miseria di 35 punti in classifica, con annesse euro-figuracce ed eliminazione prematura dalla Coppa Italia, sono forse il meno, e questo è anche il pensiero di Paolo Maldini che critica tutto il sistema Milan per spiegare, o almeno cercare di farlo, il fallimento progettuale della società, che all’orizzonte purtroppo vede ancora nebbia; dall’epurazione dei senatori, affrettata e in alcuni casi irriconoscente, all’allontanamento di Ariedo Braida, dal dualismo con Barbara Berlusconi a un mercato basato sulle amicizie coi procuratori, per l’ex capitano del Diavolo l’artefice del fallimento milanista ha un solo responsabile:

“La situazione drammatica di oggi nasce dall’addio di tanti calciatori con la mentalità vincente, questa dirigenza dimostra di pensare all’oggi e non al domani. Gli acquisti dovrebbero essere funzionali al gioco, i parametri zero ti possono andare bene una volta, ma la seconda no. Affidarsi sempre ad un procuratore è ugualmente rischioso. In società non c’è un direttore sportivo, quando Leonardo spinse per me nel ruolo di ds, Galliani rispose che è una figura superata. Non ci sono bandiere, solo Filippo Galli e Mauro Tassotti, e anche l’eventuale addio del secondo sarebbe un danno incredibile”.

Continua a spiegare:

“Galliani è un grandissimo dirigente, ma il Milan che pure ha tanti dipendenti è sottostrutturato a livello sportivo. Faccio un esempio, se arriva un allenatore che dice che Pirlo non serve più al Milan, ci deve essere qualche dirigente che sottolinei che a livello sportivo continua ad essere un patrimonio del club. Purtroppo Galliani si crede onnipotente, non ricorda che tutti i successi non sono arrivati unicamente grazie a lui, ma anche grazie ad un gruppo che sapeva gestire lo spogliatoio. Se qualcuno non rigava dritto, ci pensavamo noi”.

Attacco frontale e senza fronzoli che ha le sembianze della più classica pioggia che va a posarsi sul bagnato; questi virgolettati potrebbero da soli fare notizia, e non poco, ma è interessante anche come Maldini risponde alle altre domande:

“BB? Abbiamo avuto due colloqui, Barbara mi voleva nel Milan, ma dopo la divisione delle cariche non ho più sentito nessuno. Se saprà gestire il Milan, dipenderà da chi si circonderà. Seedorf? C’è il rischio che si bruci. Inzaghi invece sta facendo molto bene a livello di vivaio e questo conta”.

Chiosa finale su Balotelli:

“Come Pato, non è ancora un campione, ma è sbagliato mettere tutto il peso su di lui, credo che se giocasse in una squadra già strutturata e vincente come la Juve sarebbe un’altra storia”.

Colpito e definitivamente affondato.

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Le Partite di Oggi – 18 Marzo 2014 – Champions League

Rassegna stampa 18 marzo 2014: prime pagine di Gazzetta, Corriere e Tuttosport