Lui è Carlo Petrini, ex centravanti di Genoa, Milan, Roma e Bologna e scrittore conosciuto per aver raccontato le strane pratiche mediche a cui venivano sottoposti i giocatori della sua epoca. Non solo. Petrini ha fornito anche la sua versione sulla morte violenta del giocatore Donato Bergamini, centrocampista del Cosenza (serie B), trovato cadavere davanti alle ruote di un camion la sera del 18 novembre 1989. E poi, ricordiamo un libro su Calciopoli e su Silvio Berlusconi presidente del Milan. Petrini è stato intervistato dal Fatto Quotidiano. E’ molto malato, nonostante ciò la rabbia che cova dentro gli dà la forza per continuare a ricordare e a descrivere il mondo marcio del pallone, dalla sua angolazione:

“Ho tumori al cervello, al rene e al polmone. Ho un glaucoma, sono cieco, mi hanno operato decine di volte e dovrei essere già morto da anni. Nel 2005 i medici mi diedero tre mesi di vita. E’ stato il calcio. Ne sono certo. Con le sue anfetamine in endovena da assumere prima della partita e i ritrovati sperimentali che ci facevano colare dalle labbra una bava verde e stare in piedi, ipereccitati, per tre giorni. Ci sentivamo onnipotenti. Stiamo cadendo come mosche”.

I nomi di altri calciatori, suoi colleghi, fatti perché ritenuti omertosi. Petrini è un fiume in piena:

“Chi ha nascosto tutto?. Molti, troppi. Ad esempio Sandro Mazzola che ha smesso di parlare al fratello Ferruccio, o Picchio De Sisti, che nega l’evidenza nonostante la malattia. O del commovente Stefano Borgonovo. Uno che sta molto male, aggredito dalla Sla e che continua a sostenere che il pallone non c’entri nulla. Se non mi facesse piangere, verrebbe da ridere. Il calcio è marcio. Nell’80, quando c’ero io, scoppiò lo scandalo del calcioscommesse. Oggi è come ieri. Partite combinate, risultati compromessi, soldi gestiti dalla camorra, dalla mafia, dalla ‘ndrangheta.”.

Le sostanze proibite cominciò ad assumerle molto presto:

“I miei errori iniziarono a metà dei ’60, al Genoa. Siringhe. Sostanze. La chiamavano la bumba. Avevo 20 anni. Non smisi più. Il nostro allenatore, Giorgio Ghezzi, ex portiere dell’Inter, ci faceva fare strane punture prima della gara. Un liquido rossastro. Se vincevamo, si continuava. Altrimenti, nuovo preparato. Cosa c’era dentro? Mai saputo. L’anno dopo, disputammo a Bergamo lo spareggio per non retrocedere in C. Il tecnico Campatelli scelse cinque di noi come cavie. Stesso intruglio per tutti. Eravamo indemoniati. La punta, Petroni, sembrava Pelé. Vincemmo 2-0 e, in premio, ebbi il trasferimento al Milan”.

Infine un’amara e inquietante considerazione:

“Mi facevano i raggi Roengten per guarire da uno strappo muscolare. Non so se Nereo sapesse. Con me aveva un rapporto particolare: “Testa de casso, se avessi il cervello saresti un campiòn”. Beatrice? Fu mio compagno a Cesena, Bruno. Se ne andò a 39 anni, a causa di una rara forma di leucemia, tra agonie e sofferenze atroci. Come tanti, troppi altri. Hanno sperimentato su di noi. Non ci curavano, ci uccidevano. Vorrei sapere con quali ausili gli eroi contemporanei disputano 70 incontri l’anno”.

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