Sul finire del 2003, un giovane centrocampista svedese, con la sua valigia pregna del sogno di diventare un campione, fece il suo ingresso carico di emozioni ad Appiano Gentile, voluto fortemente dall’Inter che superò la concorrenza di Ajax e Chelsea.
Del resto un giovane talentuoso val bene qualche sacrificio.
Il suo nome, rimasto sconosciuto al grande pubblico è Martin Bengtsson.
Molte presenze nella forte Primavera nerazzurra, poco meno di un’ora di gioco nel prestigioso Torneo di Viareggio e persino qualche convocazione insieme alla Prima squadra.
Da allora più niente. Ma fin qui nulla di strano: non è stato il primo nè sarà l’ultimo giovane baldanzoso a sparire dalla scena calcistica.
“Uno su mille ce la fa”, intonava un famoso successo.
Quello che rende singolare la storia del giovane scandivano è la decisione, anche in questo caso non troppo originale, di pubblicare un libro di “memorie” che ha fatto molto discutere dalle sue parti.
Il titolo? “I skuggan av San Siro”, ovvero “Nell’ombra di San Siro“.
Si tratta di una cronaca shock dei 9 mesi trascorsi in nerazzurro tra overdose di droga, alcool, dipendenza sessuale, crisi d’identità: periodo culminato con un tentativo di suicidio (tagliandosi le vene in doccia), il ricovero nel reparto psichiatria di un ospedale milanese ed il ritorno a casa.
Nel libro, Bengtsson critica duramente l’ambiente del football e il trattamento che i grandi club riservano ai giovani talenti, usati come fossero robot senza cuore: “Non voglio aver più nulla a che fare con il calcio, è un capitolo chiuso della mia vita: non lo guarderò mai più, neanche in tv.”
Sicuramente questo è un caso estremo. Ci rifiutiamo di credere che sia la norma.
Probabilmente si tratta anche di un ragazzo forse dalla personalità fragile, che si è lasciato trasportare dagli eventi.
Però sicuramente è un’esperienza che fa riflettere. C’è ormai ben poco di ludico nel mondo del calcio.
E se non si è abbastanza forti si corre il rischio di esserne travolti.
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