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Chivu si racconta, tra Triplete, paure e vita da allenatore

L’allenatore della primavera si è raccontato apertamente in una lunga intervista

Protagonista della puntata di Mister si nasce su Sportitalia, l’allenatore dell‘Inter Primavera, Cristian Chivu, si è raccontato apertamente.

INFANZIA- Ero un bambino senza niente, senza la tv, però ero felice. Un bambino che ha trovato sempre insieme ai suoi amici il modo per divertirsi e crescere bene. Poi strada facendo mi sono appassionato al calcio. Mio padre ex giocatore di calcio che poi intraprese la strada di allenatore in una squadra dilettantistica. Un po’ di passione me l’ha trasmessa mio padre, però ho tentato tanti sport, da karate a sci di fondo e tennis. Per poi ritornare al mio grande amore, il pallone da calcio

TRIPLETE- È una cosa che dura per un’annata intera. Tutto nasce strada facendo, mai una cosa programmata. Quando giochi nell’Inter devi sempre giocare per vincere tutto, ma nel mese di maggio ti ritrovi coinvolto in tutte le competizioni possibili. Finché giorno dopo giorno arrivammo al 22 maggio dove vincemmo tutto. Un’emozione indescrivibile perché vincere non è mai scontato: ci vuole un po’ di fortuna, persone e ambiente giusto, per darti la possibilità di vincere. Una gioia anche per tifosi e presidente Moratti, per tutti quelli che sono stati vicini alla squadra

MOURINHO E MADRIDNon ricordo, avevamo parlato tanto prima, eravamo andati a Madrid qualche giorno prima. Quello che parlò in quel periodo prima della partita fu Samuel Eto’o. Lui aveva vinto la Champions, sono state dette delle parole, ma in verità una finale di Champions non è mai facile da gestire. La paura che un giocatore può avere è “E se perdessimo?”. Ti fa avere delle farfalline nello stomaco, anche se sei consapevole id essere forte ti fa preoccupare

INFORTUNIO Era il mio giorno di rinascita. L’autoironia credo che faccia parte di me. Quel momento difficile da gestire, non sapevo come sarebbe potuto finire tutto. C’è mancato poco per non riuscire più a parlare e muovere la parte sinistra del mio corpo. Però i giorni di convalescenza, le mille domande che mi facevo e nonn trovavo le risposte, l’incertezza di non riuscire più a essere un giocatore professionista. Ma anche di tornare ad essere un uomo normale. Pensavo a mia figlia all’epoca, ne avevamo solo una. Se avrei potuto continuare a insegnare delle cose. Eppure sono riuscito a giocare ancora, seppur nella mia anormalità. Tutto colma coi tempi frettolosi di tornare in campo, anche se mi avevano detto che dovevano passare mesi importanti. Con tutte le incertezze e paure che soffrivo in campo, soprattutto nel colpo di testa. Mi sento fortunato. Devo specificare delle cose mai dette, prendevo un sacco di medicine che mi portarono a fare cose non da me come gesti osceni a Roma o il pugno a Marco Rossi o la litigata con Rafa Benitez. Ricordo che i miei compagni chiedevano se a casa fossi tranquillo, se non mettessi le mani addosso a mia moglie. Ci tengo a precisarlo perché prendevo delle medicine e nessuno lo sapeva. Prendevo antiepilettici che dovevo prendere per 2 mesi e invece li ho portati avanti 9 mesi

CARRIERA DA ALLENATORE- Tutto nasce dall’Uefa, quando andavo a fare l’analisi tattica in Champions League. Cercare le tendenze, guardare il calcio al top. Ero l’unico senza patentino, e mi dissi di non poter andare a farlo senza. Seguii il corso a Coverciano. Poi i contatti con l’Inter c’erano stati, con Piero Ausilio e Roberto Samaden mi incontrai in America nel settore giovanile, ma non me la sentivo. Volevo stare con la mia famiglia. Poi si rinnovò l’offerta e accettai. Ho scelto io di partire dal basso in una squadra non professionistico, per vedere se i ragazzi mi avrebbero capito. Fare l’allenatore è anche questo. Mi appassionò e quest’anno sono fortunato a chiudere un ciclo, mi fa piacere vedere qualcosina di quello che avevo trasmesso nel 2005

SCUDETTO PRIMAVERAPer me non lo è stato. Ho avuto la fortuna di lavorare con loro, sapevo i punti deboli del gruppo, le carenze. A un certo punto della stagione ci siamo detti le cose in faccia, ho cheisto la disponibilità di fare quello che si doveva fare, ma non è mai facile. Per me non era una sorpresa, dovevamo solo mettere i ragazzi in condizione. E nascondere anche qualche deficit che avevano. Poi per me fu l’emozione più forte in semifinale, non in finale, contro il Cagliari, nel terzo gol. Ho ancora la pelle d’oca

CALCIO- Ci sono pochi fortunati ad avere tutti e due. Bel gioco e vincere passa dalla qualità che c’è in campo, di quello che scegli di avere, magari vai anche a spendere. Mantenendo una realtà di quelli che non hanno questo privilegio io scelgo vincere. Non ho ancora mai visto nella mia carriera da giocatore un calciatore contento della sconfitta e del bel gioco. Quello che conta come sensibilità del giocatore è vincere

ESPOSITO E STANKOVIC- Esposito capitano, Stankovic vicecapitano. Avevo bisogno di ragazzi che potessero creare un gruppo. Due uomini veri per gli altri, per creare la simbiosi che ci vuole per creare un gruppo. Uno fa il play e l’altro è la colonna centrale della mia squadra, due 2005 che iniziano a fare la differenza in Primavera. Devono avere pazienza e costruire il loro percorso: sono eccezionali, provengono da due famiglie di ex giocatori. Pio è meglio, perché quelli piccoli della famiglia sanno sgomitare. Il primo ha tutto a portata di mano, il secondo segue e il terzo si fa spazio

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