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Inter, Mancini: “Se arriviamo in Champions vado a Santiago de Compostela in bici”

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Chiamatelo fioretto di Natale o come volete, ma il senso è chiarissimo. Roberto Mancini, intervistato da La Gazzetta dello Sport, ha annunciato che “se arriviamo in Champions, e io ci credo fortissimamente, vado alla Cattedrale di Santiago de Compostela. In bici”. Al momento l’Inter ha da recuperare sei punti (ma ben otto sono le squadre nel mezzo) affinché la promessa del Mancio si trasformi in realtà. E per farlo servono rinforzi. L’allenatore non lo ha nascosto spiegando di attendersi due o tre rinforzi da Thohir. Il nome più credibile al momento appare quello di Alessio Cerci:

Giocatore forte e importante, e mi pare di aver capito (ride, ndr) che voglia tornare in Italia. Ci vuole un colpo di fortuna (…) L’esterno d’attacco è un obiettivo, poi vediamo come si evolverà il mercato di gennaio. Dobbiamo seguire chi non gioca, chi non è motivato ed è infelice dove si trova. Cerci ha difficoltà a Madrid, non gioca, ma forse se l’Atletico l’ha preso è perché ha un progetto anche attorno a lui.

Più cauto si è mostrato Mancini su Lavezzi perché “nel calcio può succedere di tutto, lui è un big, conosce la serie A ma è pur sempre del Psg”. Gli altri nomi in ballo sono quelli di Salah (“giovane molto interessante”), di Perisic (“buon giocatore, profilo giusto: poi nemmeno lui è facile da prendere”) e Lucas Leiva (“un big, la sua esperienza ci sarebbe utile. Ma è sempre del Liverpool, vediamo… I club non mollano facilmente”).

Ribadito che in Premier “si vive il calcio bene, come si dovrebbe” perché “che tu perda o vinca la gente ti applaude e tu vai a bere del vino col tecnico rivale” e precisato che questa estate per la Nazionale “ho avuto zero segnali” perché “non era una priorità, semmai è vero che avrei potuto aspettare altri club, tipo in Francia”, il Mancio ha ricordato i tempi del City:

Quando arrivai a Manchester eravamo i cugini noisy, rumorosi. Bolingbroke può confermare… All’Old Trafford i tifosi dello United esponevano sempre uno striscione, e lo facevano ogni stagione con gli anni da cui non vincevamo nulla, quindi 36 anni senza vincere, poi 37. Arrivai quando eravamo settimi, nel 2009. Allora ai ragazzi e alla società dissi: “Facciamo sparire quello striscione”. Abbiamo conquistato coppa, campionato e cambiato le gerarchie di Manchester. Qui all’Inter si può fare la stessa cosa.

Massimo Galanto

Classe 1988, pugliese di nascita, è giornalista pubblicista dal 2010. Scopre il mondo dei blog per caso, dopo esperienze legate ai giornali di ‘carta’. Laureato prima all'Università degli Studi di Bari e poi a La Sapienza di Roma, vive nella Capitale. Ma in questo momento potrebbe essere ovunque.

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