Paolo Cannavaro e Gianluca Grava chiedono i danni alla FIGC e al Coni. Un mese di squalifica, in teoria uno dei 6 che in primo grado la giustizia sportiva gli aveva rifilato prima che la Corte Federale annullasse di fatto quella sentenza assolvendoli. I due pretendono tramite il loro legale un risarcimento pari ad “un mese di ingaggio”, circa 250 mila euro, dopo essere stati coinvolti dall’ex compagno Matteo Gianello in uno dei tanti procedimenti legati al calcioscommesse. Nei fatti l’inattività dei due calciatori, uno dei quali di fatto ai margini della rosa per motivi tecnici e di età, è durata dal 18 dicembre al 17 gennaio scorso considerando la pausa natalizia una ventina di giorni.
Questo non toglie che lo stop forzato dovuto al pronunciamento della Disciplinare, che aveva dato in parte ragione alla tesi del procuratore Stefano Palazzi (lui aveva chiesto 9 mesi), con la squalifica immediatamente esecutiva sia stata percepita come una gravissima ingiustizia. La conferma? Proprio la sentenza di assoluzione arrivata un mese dopo. Il loro non è l’unico caso di calciatori rimasti fermi per la condanna di primo grado poi successivamente assolti dalla Corte d’Appello o addirittura dal Tnas, con tempi variabili.
Un po’ come un detenuto che porta in tribunale lo Stato per farsi riconoscere un risarcimento per l’ingiusta detenzione Cannavaro e Grava sono convinti che l’aver patito per 1/6 la punizione di una colpa che ritenevano e ritengono (in accordo con i giudici della Corte Federale) debba essere compensato economicamente. Il loro legale ha presentato un’istanza alla Federazione, la FIGC ha 10 giorni per rispondere, ma se i suoi assistiti non dovessero avere soddisfazione sono pronti a rivolgersi al TAR. In caso di accoglimento della richiesta, sia prima che dopo il ricorso alla giustizia amministrazione, sarebbero molti i colleghi che hanno scontato anche 6 mesi di squalifica prima di vedere riconosciuta la loro innocenza interessati a ripercorrere lo stesso cammino.
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