La stampa italiana si riscopre garantista, quando si parla di calcioscommesse e “Ringhio” Gattuso. Partiamo da un presupposto: per tutti, soprattutto giornalisticamente, dovrebbe valere il divieto di presunzione di colpevolezza sancito dall’articolo 27 comma 2 della costituzione italiana. Per tutti. Per Gennaro Gattuso. Per Antonio Conte. Per Mario Rossi.

Ma stranamente gli atteggiamenti giornalistici anche di grandi accusatori del malcostume del calcio italiano, questa volta, sono cambiati.

Leggiamo il pezzo che Ivan Zazzaroni scrive sul suo blog, per esempio.

    Tutti, ma non Gattuso. Ho aspettato un giorno intero prima di scriverne: volevo e dovevo saperne di più, leggere, informarmi meglio, ascoltare le reazioni. In particolare le sue.

    Su twitter, dopo alcuni interventi in sua difesa, mi hanno accusato di garantismo inopportuno, fuori luogo (“perché non mantenne lo stesso atteggiamento quando da Cremona travolsero Conte?”).

    Stavolta è diverso.

    Gattuso, 468 partite con la maglia del Milan e 73 con quella della Nazionale, è un simbolo. Lui che è nato tondo non può morire quadrato. Rino in campo era il duro, il puro, l’agonista, il portatore di valori sani, il combattente indemoniato che talvolta nemmeno il campo riusciva a contenere, quello che attaccava al muro il compagno che non s’impegnava abbastanza. Rino era il cuore.

    Ho scritto, e lo ripeto, che credo in lui. Per questo desidero con tutto me stesso che i magistrati ci restituiscano intatto il Gattuso che abbiamo elevato a simbolo e talvolta detestato (da avversari). Anche se so che non sarà più come prima: in un Paese che si nutre di sospetti e maldicenze come il nostro, il solo coinvolgimento in un’inchiesta del genere rappresenta una macchia indelebile.

    Ieri è morto un piccolo pezzo di Rino e in fondo anche di chi lo ama.

Bisognerebbe rispondere al pezzo riga per riga. E’ Zazzaroni stesso a citare Conte. E poi a sciorinare il curriculum di Gattuso.

Allora, bisognerebbe ricordare al collega che Conte ha totalizzato 518 presenze in squadre di club (419 nella Juventus, le altre nel lecce) e 45 reti (44 nella Juventus). Da calciatore ha vinto tutto quel che si poteva vincere in squadre di club. Da allenatore, ha vinto un campionato di Serie B, due di serie A, due supercoppe italiane. Inoltre ha ottenuto, a titolo personale, una Panchina d’argento nel 2008-2009. Un Premio Tommaso Maestrelli, una Panchina d’oro, una nomina a Miglior allenatore nel 2012, un Premio Nicola Ceravolo, un Premio Viareggio Sport Gherardo Gioè.

Insomma, Gattuso e Conte sono almeno pari come calciatori. E il secondo è decisamente avanti come allenatore. Ma che c’entra il curriculum, con la presunzione di innocenza o di colpevolezza? Nulla. Assolutamente nulla.

E allora Zazzaroni dovrebbe spiegare a lettori e colleghi perché “stavolta è diverso”. Perché Gattuso è un simbolo? E di cosa? Chi lo ha deciso? E cosa significa «Lui che è nato tondo non può morire quadrato»?
Che altri (leggasi: Antonio Conte) invece non sono “nati tondi”? Che altri non sono duri e puri?
Conte non è forse uno che “appiccica al muro”? Non è riconosciuto come motivatore? Come lottatore?

Forse il fatto è che questa volta non si tratta di un simbolo della Juventus? Viene il dubbio che sia così.

Ma non c’è solo Zazzaroni a mettere le mani sul fuoco per ringhio. C’è anche chi tifa. Su HuffPost Italia, per esempio, Alberto Cei, psicologo dello sport, scomoda addirittura Gandhi, Kennedy, Martin Luther King e Mandela (non sarà troppo?) per poi scrivere, a suon di pleonasmi:

«Abbiamo bisogno che Gattuso sia innocente, perché se cadono quelli come lui, che non sono i pochi grandi banchieri e amministratori corrotti, ma sono le tante persone che ci sono più vicine, non i grandi miti inarrivabili ma chi conosciamo, pensare di costruire una società migliore sarà dura. Gattuso innocente mi permette di credere che anche il mio vicino di casa sia onesto e questo mi aiuta a esserlo anche a me».

Tanto affetto è commovente. E una cosa è certa: come sempre accade in questi casi, ovviamente, c’è stata la gara a sbattere il nome di un big in prima pagina. E’ successo per Antonio Conte a suo tempo. E’ successo per Gennaro Gattuso.

Ma questa volta, su Repubblica, Mensurati e Foschini intervistano Roberto Di Martino, procuratore capo di Cremona, che dice, fra l’altro:

«Gattuso è uno delle centinaia di indagati dell’indagine. Mi è dispiaciuto molto sentire e vedere certe cose. La sua è una posizione collaterale, quasi marginale»

Detto, fatto. Questo diventa il titolo.

Non si ricorda analogo trattamento per Antonio Conte, che alla fine del terzo filone dell’inchiesta sul calcioscommesse, è stato squalificato per 10 mesi per

«omessa denuncia in relazione alle partite Novara-Siena 2-2 e AlbinoLeffe-Siena 1-0 del campionato di Serie B 2010-11»

in base alle accuse di Filippo Carobbio, smentite da tutti i suoi ex compagni di squadra.

Nessuno, all’epoca, definì la posizione di conte “marginale” (né, prima della sentenza, di spiegare che le perquisizioni alle 6 del mattino sono normali, o che l’iscrizione nel registro degli indagati «è un atto a garanzia dell’indagato» stesso).

Anche il presidente della FIGC, Giancarlo Abete, difende Gattuso a prescindere:

«Sono fiducioso che ne uscirà senza ombre».

Pensate, invece io ritengo che in casi come questo si debba, a prescindere, mantenere il basso profilo. Rispettare il divieto di presunzione di colpevolezza. Trattare tutti, indipendentemente dai colori della casacca che portano, allo stesso modo.

Non è quel che succede. Peccato.

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ultimo aggiornamento: 20-12-2013