Paolo Condò, nel suo editoriale su La Repubblica, ha parlato di quanto accaduto a Vlahovic in Atalanta-Juventus.
LE PAROLE – «È giunto il momento di segnare un confine tra gli insulti che in uno stadio sono in qualche modo accettabili e quelli che non solo non si possono sentire, ma vanno obbligatoriamente puniti in quanto razzisti. Tormentare Vlahovic gridandogli “zingaro” non ha nulla di passionale, come ululare a Lukaku perché è nero, invocare un’eruzione del Vesuvio per liberarsi dei napoletani, chiamare in causa Anna Frank per insultare gli ebrei, deridere un giocatore omosessuale e così via. Usare una categoria in senso insultante è un gesto razzista e come tale va punito. Non è la stessa cosa di un insulto personale, il “pezzo di m…” citato da Gasperini – ultimo di una lunga lista di personaggi del calcio che non riescono a distinguere la profonda differenza – non è certo una carineria, ma in uno stadio può succedere come può succedere in un diverbio al semaforo. Dirigenti, allenatori e giocatori devono uscire dall’equivoco e sostenere le ragioni dei colleghi molestati, non minimizzare quelle dei tifosi peggiori: la settimana successiva potrebbe toccare a loro avere bisogno di appoggio. La base del discorso è che nel tempo la sensibilità collettiva si è fortunatamente evoluta e il razzismo non è più tollerato, in nessuna forma si manifesti. Ed è allucinante come i nostri arbitri continuino a non capirlo, ammonendo le umane reazioni dei giocatori vittime di discriminazione».
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