Ciro Immobile sta disputando una stagione da copertina, prendendosi giustamente il filotto dei titoli dei giornali cartacei e online sia per i gol che per le prestazioni. Il che non è poco, perché l’attaccante moderno deve saper fare un po’ di tutto, compresa un po’ di “lotta” a tutto campo, anche se si tratta di un centravanti puro che difficilmente può occuparsi d’altro che non siano l’area di rigore e la porta avversaria.
E allora per uno dei cannonieri a sorpresa di questa Serie A, che vive anche la stralunata condizione di essere diviso economicamente a metà tra Torino e Juventus, non poteva che partire il dibattito circa la Nazionale. E’ l’anno dei mondiali brasiliani, e Immobile cade a fagiuolo come cadde nella stagione 1989/90 Totò Schillaci, uno che fino a pochi mesi prima sgomitava in Serie B.
Carpe Diem. Prandelli permettendo. Ma i dubbi, senza stare a sindacare il valore di quanto fatto fin qui dall’attaccante napoletano cresciuto anche nelle giovanili della Juventus, sono leciti. Ben venga l’exploit, il magic-moment, il battere il ferro quando è caldo, ma si tratta pur sempre di un giocatore a secco di esperienza internazionale.
Non che sia un handicap a prescindere, però il calibro dei difensori che compongono le rose delle finaliste della Coppa del Mondo non sono proprio come giocare contro le retroguardie della Serie A: non è tanto l’organizzazione, quanto piuttosto il gioco individuale, la forza nei corpo a corpo, la durezza e scaltrezza. Il livello è davvero un altro.
E per Immobile, in caso di chiamata anche un po’ per assenza di concorrenza, allora servirà davvero il jolly per poter essere all’altezza della situazione. Perché forse è soltanto un po’ troppo presto, anche se la maturità calcistica a 23/24 anni può considerarsi ormai alle porte.
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