Paolo Condò su La Repubblica ha analizzato in generale la grande stagione dell’Inter. “A inizio stagione soltanto una squadra meritava il beneficio del dubbio, il Napoli reduce da un’annata straordinaria: si è capito in fretta che la magia se n’era andata con Spalletti e Giuntoli, si è intuito che il Milan aveva cambiato troppo per reggere subito il passo — e il derby di andata ha finito di scavare un solco psicologico che quello di ritorno non ha certo colmato — , restava la Juve dalla quale guardarsi”.
“Quelli di Marotta («senza le coppe è la vera favorita») erano mind games con un fondo di verità, perché malgrado una rosa forte e quasi completa l’Inter ha gestito con molta prudenza, probabilmente troppa, l’impegno su più fronti. Se vogliamo, un risultato la Juve l’ha ottenuto: convincendo l’Inter di poter competere fino alla fine per lo scudetto — e alla fine del girone d’andata c’erano solo due punti fra loro — l’ha costretta a spendere troppe energie in campionato, fino a trovarsi vuota la sera di Madrid. L’Inter di quest’anno valeva la semifinale di Champions (e una volta lì, può succedere di tutto), ma l’obiettivo prioritario dello scudetto della seconda stella — mai in pericolo, ma a gennaio sembrava di sì — ha riscosso il suo tributo”.
“Inzaghi s’è inventato Çalhanoglu regista davanti alla difesa, ha cresciuto Dimarco allo status di campione, ha rilanciato il 35enne Mkhitaryan, ha tenuto in fresco Darmian e Acerbi, ha ottenuto chiari progressi da tre campioni che sembravano avere poco margine ulteriore (Lautaro, Barella e Bastoni), ha surrogato Onana con Sommer e Lukaku con Thuram, ha gestito novità di alto livello come Pavard e Frattesi. Ha trasformato in raffinata gioielleria l’oro procuratogli da Marotta e Co. attraverso una gestione del mercato che non ha precedenti nella combinazione tra l’aumento del potenziale e il costo zero dell’operazione. L’evidenza ci dice che Steven Zhang non ha risolto i suoi problemi in Cina, ma che il suo management riesce a farne benissimo a meno”.
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