Dopo un semestre di ambientamento, in cui c’è stato lo sfumato passaggio di consegne da Massimo Moratti a Erick Thohir, il magante indonesiano ha pensato bene di ingaggiare Michael Bolingbroke quale CEO (Chief Executive Officer) dell’Inter, in altre parole il suo braccio destro, praticamente il numero due del club nerazzurro che a differenza di Thohir vive e opera direttamente da Milano. E’ un personaggio ancora poco conosciuto ma con un altissimo profilo professionale, d’altra parte al Manchester United, club per cui ha lavorato fino a un anno fa, ha fatto più che bene rivestendo molteplici ruoli: responsabile dei ricavi provenienti dall’Old Trafford, dell’hospitality, dei servizi finanziari, delle risorse umane, dell’ufficio legale, dello sviluppo tecnologico e del fondo pensionistico del club, ma Bolingbroke si occupava anche della tv tematica dei Red Devils, del rapporto con la Nike rivestendo anche la carica di presidente della fondazione benefica dello United.

Insomma, un dirigente a 360 gradi (ha lavorato anche per London Business School e per il Cirque du Soleil) che ha grandi idee e molteplici frecce in faretra pronte ad essere scoccate, così l’intervista che ha oggi rilasciato in esclusiva a La Gazzetta dello Sport è stata letta attentamente dai tifosi dell’Inter che sperano anche grazie a figure internazionali di questa levatura di vedere la propria squadra ritornare ai fasti del recente passato; per Bolingbroke snodo fondamentale della rinascita nerazzurra è lo stadio, sotto tutti i punti di vista, compresa l’affluenza dei tifosi:

“Quando vado alle partite casalinghe mi guardo attorno e sinceramente non riesco a comprendere come metà stadio sia vuoto. Nell’area attorno allo stadio, quella per intenderci che ti fa essere a San Siro entro un’ora e mezza, vivono 8 milioni di persone. Due terzi sono tifosi di calcio e 2,6 milioni tifano Inter: come diavolo è possibile che non si riempia lo stadio con 80mila persone? Il pubblico dovrebbe diventare parte integrante di una famiglia, la sfida è riempire lo stadio non solo per il derby ma ogni domenica, anche per le partite ‘normali’. Adesso vengono 30 mila persone in media a gara, l’obiettivo è di arrivare a 50 mila”.

Avere come obiettivo cifre del genere non può prescindere a una ristrutturazione dell’impianto:

“E’ ovvio che vanno migliorati i servizi, i trasporti, la sicurezza, con settori adibiti alle famiglie. Ed è importante dire una cosa: non abbiamo alcuna intenzione di aumentare i ricavi alzando i prezzi dei biglietti ma semplicemente portando più gente allo stadio. In Inghilterra è differente perché gli impianti sono costantemente esauriti, mentre da noi l’indice di riempimento è molto più basso. Certo, San Siro è uno stadio da migliorare, ma ha potenzialità enormi e un fascino unico. E’ uno stadio fantastico, stiamo discutendo su cosa fare, ma saremmo felici di restare a San Siro, è la nostra prima opzione in caso di stadio di proprietà”.

E’ da almeno un lustro che in Italia si individua nel “problema stadio” il lento declino del nostro calcio, quando nel resto d’Europa sono proprio gli stadi il cuore della gestione economica e sportiva delle società calcistiche; ma oltre alla necessità di avere una casa, un club ha l’onore e l’onere di difendere il blasone e per l’esperto dirigente interista sarà la storia del Biscione il punto di partenza per una graduale risalita:

“Per me l’Inter è un club di Champions League, perché pur non giocandoci da alcuni anni, come tutti i brand calcistici, il suo appeal resiste a lungo nel tempo. Quando pensi all’Internazionale continui a pensare a quello. E quello che voglio è che questo club torni in pianta stabile in Champions: non per un anno soltanto ma per tanto tempo. E’ vero che c’è la crisi ma l’Italia è una delle più importanti economie del mondo e Milano è una città vibrante con un’enorme reputazione. A Manchester la gente veniva solo per il calcio, Milano è differente, è una delle città più visitate d’Europa, c’è la Scala, c’è la moda e c’è pure il calcio”.

Se è vero che Thohir è irrimediabilmente lontano, se non col cuore quanto meno fisicamente, e che Ausilio, Fassone, Zanetti e Moratti jr sono pedine importanti per la gestione sportiva, una personalità come quella di Bolingbroke potrà risultare di cruciale importanza per la riscossa nerazzurra. Una riscossa che non potrà prescindere dai risultati in campo, dai giocatori che sudano la maglia e, ultimo ma non ultimo, dal lavoro di Roberto Mancini:

“Mancini è un vincente. Non mi riferisco solo al suo passato nell’Inter, ma a quello che ha fatto con il Manchester City. Io stavo dall’altra parte e ho potuto osservare come ha trasformato la mentalità di quella squadra. Era un club a metà classifica e lui l’ha portato a vincere. A gennaio se ci saranno delle opportunità le coglieremo, dipende da ciò che vuole fare l’allenatore: tutto parte da lui, dalle sue necessità. Dobbiamo rispettare i parametri dell’Uefa ma la priorità è dare all’allenatore quel che serve per tornare in Champions: se Mancini chiederà rinforzi troveremo il modo per accontentarlo. Ma sia chiaro: sempre dentro i vincoli del fair play finanziario”.

Michael Bolingbroke sta lavorando sodo per costruire una infrastruttura solida, è lui l’uomo chiave della gestione Thohir, quando parla viene ascoltato con riverenza, le sue idee vanno oltre il compitino del quotidiano. Basterà per infondere ottimismo in una piazza, quella interista, al limite della depressione? Potrà portare buoni giocatori, risultati positivi e piazzamenti prestigiosi standosene in giacca e cravatta dietro la scrivania? Alla Pinetina ci credono molto, credono molto nelle sue capacità.

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ultimo aggiornamento: 17-12-2014