Beppe Marotta ha parlato al Tg2 dei cambiamenti del mondo del calcio e non solo. “Le società di calcio erano spesso nelle mani di industriali, mecenati, che garantivano la sopravvivenza degli sport quasi come debito sociale verso la collettività nella quale avevano avuto un grande successo. Oggi tutto questo non c’è più, per cui il modello è diventato un modello di business, e da questo punto di vista ci dobbiamo reggere solo seguendo quello che è il concetto della sostenibilità”.
“Oggi siamo davanti a un calcio molto consumistico, siamo davanti a figure nuove che sono procuratori, agenzie, che vogliono far sì che il loro assistito sia soprattutto un oggetto commerciale, di divulgazione della propria immagine, e spesso trascurano quella che è la missione principale, cioè essere il rappresentante di un sistema che aiuta ed educa i ragazzi, per diventare i calciatori e gli uomini del domani”.
“Ci sono due aspetti che possiamo ancora migliorare: la valorizzazione dei diritti televisivi, che va però di pari passo con lo spettacolo che offriamo, e l’incremento degli introiti dal match day, dalle partite vere e proprie, cercando di ottimizzare la presenza di spettatori nello stadio. E qui si apre uno spiraglio negativo che è legato alle strutture italiane, che in Europa sono il fanalino di coda. Con uno stadio moderno e che garantisce ospitalità e sicurezza, anche gli introiti potrebbero aumentare”.
“In Inghilterra sono arrivati ad abbattere un’icona come Wembley, in Italia si fa fatica ad abbattere qualsiasi tipo di strutture. Le difficoltà sono proprio legate alla burocrazia, che prevede tanti passaggi e tante autorizzazioni. Per questo, prima di arrivare a un’autorizzazione finale, c’è quasi uno scoramento da parte di potenziali investitori, perché il tempo sicuramente non gioca a favore. Qual è il rimedio? I grandi stadi sono di interesse nazionale, sono strutture che dovrebbero far capo al Ministero delle Infrastrutture, quindi eviterei i passaggi dal Comune, provincia, sovrintendenza e tutto questo iter burocratico. C’è troppa lentezza: ci vuole più immediatezza e meno burocrazia“.
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