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Mourinho all’attacco dopo la sconfitta: se la prende con l’arbitro, Guardiola e Platini

La sconfitta ai rigori contro il Bayern Monaco del suo Chelsea non ha fatto bene a Mourinho, la Supercoppa persa non è stata digerita, lo dimostra il fatto che il portoghese nella conferenza stampa del post-partita ha rivolto i suoi strali un po’ contro tutti. Ne ha avute per l’arbitro Eriksson, per il suo rivale di sempre Guardiola, ma anche per Platini, il presidente Uefa è accusato di far seguire pochi fatti alle tante parole sul fair play finanziario tanto sbandierato negli ultimi anni. Partiamo da quello che è successo in campo ieri, più precisamente dall’espulsione di Ramires a cinque minuti dalla fine dei tempi regolamentari. L’opinione dello Special One? Semplice, una decisione affrettata, forse troppo severa, se lo svedese “fosse stato un inglese non lo avrebbe fatto”.

L’essere restato in dieci gli serve l’assist per riprendere una vecchia polemica, quella secondo la quale il sorridente, politically correct, Guardiola sarebbe in qualche modo sempre avvantaggiato dalle decisioni arbitrali. È un ritornello vecchio, che risale ai tempi dei duelli in Liga: “L’uomo in meno? Non è un’esperienza nuova per me. Ho un’esperienza fantastica di partite Uefa giocate in 10. Traete le vostre conclusioni”. Ma la sua invettiva più feroce è quella contro la Uefa e il suo presidente Michel Platini. Mourinho si chiede com’è possibile che alcune squadre in Europa possano spendere fior di milioni senza preoccuparsi del fair play finanziario, queste le sue parole concesse a Espn:

I club devono pensare al futuro dove il fair play finanziario ci porterà a pensare al calcio in maniera diversa. Noi al Chelsea abbiamo già cominciato a farlo ma ci sono altre società per le quali il fair play non entrerà mai in vigore o che pensano di poterlo ignorare visto che hanno continuato a spendere somme incredibili. Il Chelsea ha investito sui giovani, cercando di costruire una squadra che possa competere con chi investe di più. Ma siamo felici, abbiamo una squadra giovane dal futuro luminoso. Abbiamo quasi due giocatori per ruolo, alcuni più esperti e altri con grande potenziale di crescita. E altri giocatori, in prestito per uno, due o tre anni, sono rientrati. Investendo di meno cerchiamo di essere allo stesso livello di quegli squali economici che vanno avanti col desiderio di comprare e che continuano a farlo.

A sostegno della sua teoria Mou ricorda la vittoria della Champions League con il Porto, un successo arrivato senza che il club avesse dovuto svenarsi per costruire una squadra vincente. Non ricorda però quella vinta sulla panchina dell’Inter, non si può certo sostenere che i nerazzurri non avessero fatto investimenti importanti in quegli anni. Anche il suo primo mandato con i Blues non fu certo improntato sulla sobrietà sul mercato, ma lui si difende attaccando:

Quando sono arrivato la prima volta al Chelsea, Abramovich ha investito tanto e quando ho vinto si diceva che era perché avevamo tanti soldi da spendere. Ora però che noi non lo facciamo e gli altri sì, non vedo le stesse critiche obbrobriose per questi club che spendono cifre enormi in un momento non bellissimo, dal punto di vista sociale e politico, per l’Europa. E questo è ingiusto.

Erano altri tempi, il Chelsea spendeva di più mentre ora sembra essere diventato più morigerato. Che dire allora del Real Madrid, la squadra che ha guidato fino a pochi mesi fa quest’estate, come sempre, non ha badato a spese mettendo a bilancio l’acquisto più costoso della storia del calcio, i famosi 100 milioni per Bale. Per le Merengues il discorso è diverso, almeno così la pensa il portoghese: “È un club che non dipende dagli investimenti di un proprietario ma che produce soldi da solo, se hai i soldi puoi investirli”. Insomma pare che intorno a lui sia tutto marcio, che lui sia il solo paladino del calcio pulito. Forse la sconfitta brucia più di quanto sembri, forse come al suo solito ha deciso di attirare l’attenzione su di se per allentare la pressione sui suoi giocatori. Questo è Mourinho, prendere o lasciare.

cesare10

Ingegnere poco più che trentenne, vive in una città con l'anacronistica (cit.) passione per i cavalli. In attesa di guadagnare con i numeri si diverte con le parole. Imbratta il web da tanto tempo. Una volta aveva anche un blog di dubbio successo, ma lo ha chiuso per aprirne uno del quale non ha mai rivelato l'indirizzo, regola che non sfugge a questa biografia: forse anche per questo, ma non solo, non ha lettori. Scrive di calcio per poter comprare il pane. Nel tempo libero scatta fotografie, partecipa a cortometraggi di aspiranti registi slavi e apre tumblr collaborativi con pretese virali. Gli piace guardare le facce delle bariste ogni volta che ordina bitter con gin.

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