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Raimondi, il guerriero che ha sognato (e realizzato) l’Atalanta fin da bambino

La storia di Cristian Raimondi: dalla Curva Nord alla prima squadra fino alla consacrazione con l’Atalanta come esempio e leader

Chi vuole diventare calciatore ha come sogno quello di vincere trofei su trofei, poi ci sono delle meravigliose eccezioni che invece desiderano giocare nella loro squadra del cuore al di là del talento, essere addirittura capitano rappresentando il DNA storico e culturale della maglia. Casacca donata da suo papà prima, indossata da adolescente sugli spalti e poi portata in campo tramite dedizione e responsabilità. Un nome per racchiudere questo concetto nell’Atalanta? Cristian Raimondi.

Classe 1981 di San Giovanni Bianco, prodotto del settore giovanile nerazzurro e soprattutto tifoso atalantino che alternava sedute a Zingonia con la Primavera a domeniche piene d’amore in Curva. Il suo obiettivo è quello di giocare per la Dea, e dopo Albinoleffe, Palermo, Pro Vercelli, Arezzo, Vincenza e Livorno, il sentimento viene ricambiato calcisticamente con il suo inserimento in prima squadra nel 2010: nel momento in cui si apre il secondo ciclo Percassi.

Dalle penalizzazioni alle 6 vittorie consecutive nel 2014; dal difficile 2015 alla parentesi Reja fino a Gasperini: Cristian Raimondi è sempre presente sulla fascia destra andando oltre sia limiti tecnici che, soprattutto, critiche che gli venivano fatte da una piccola parte del tifo. Idolo di quella Nord sempre dalla sua parte e che si rivedeva sempre in lui: non nel fuoriclasse, non nel bomber, ma nel lavoratore che per la maglia nerazzurra dava tutto senza paura.

La consacrazione di Raimondi arriva nel 2013 dove al 90′ di un 23 settembre 2012 contro il Palermo la sua testa spicca rispetto a tutte le altre insaccando sotto la Pisani la sua prima e unica rete con l’Atalanta: trenta secondi di follia nel vederlo esultare realizzando il suo sogno da bambino, goduto nell’abbraccio orobico. Da menzionare anche l’assist a Moralez contro la Roma saltando Cole che gli fece guadagnare il soprannome “CR77”, l’atteggiamento da guerriero decisivo nel 3-4 a San Siro ai danni dell’Inter e anche la sua presenza in Curva Nord durante un’Atalanta-Sampdoria (non si rinuncia mai alle proprie origini patriottiche).

Il 27 maggio 2017 chiude con il calcio giocato in una festa che vede la sua Atalanta in Europa e la stessa Nord che lo saluta (insieme a Migliaccio) con una coreografia dove veniva raffigurata la sua maglia: una riconoscenza che vale di più di trofei. Oggi fa parte dello staff tecnico nerazzurro perché star lontano dalla Dea è impossibile: ovviamente senza dimenticare l’amore per la sua la famiglia dove lui, come faceva in campo, dedica tempo e dedizione. Grande calciatore, grande uomo, esempio di cosa voglia dire l’A.B.C. a Bergamo.

Redazione F

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