Lo chiamavano Genio e lo era davvero: Dejan Savicevic è uno dei grandi del Milan anni ’90 che racconta il suo Silvio Berlusconi in questi giorni di lutto in casa rossonera. Ecco ciò che ha detto a La Gazzetta dello Sport.
SECONDO PADRE – «Il presidente era veramente un secondo padre. Mi voleva bene. Anch’io a lui. Lo saluterò per l’ultima volta. Sembra una parola grossa, esagerata. Ma è così. Sentivo che mi voleva bene, che mi stimava, mi difendeva. Anche troppo…».
PANCHINA – «Ho fatto delle cazzate e ho sbagliato, ma lui sistemava tutto e mi diceva di stare tranquillo, di portare pazienza. Una volta, contro l’Anderlecht, ho rifiutato di andare in panchina. É venuto fuori un casino: Capello si è arrabbiato. Berlusconi ha dato ragione a Fabio, ma ha detto anche “Dejan va capito. É un fuoriclasse e soffre perché non gioca”».
LITIGI CON CAPELLO – «No, mai. Io volevo giocare, giocare, giocare. Mi avevano preso per questo, nel 1992. Ma non è andata così, ho aspettato molto, ho sofferto».
FATICA A INSERIRSI – «Sì. É stata durissima, non ce la facevo. Stavo diventando matto, volevo tornare a casa. Dopo sei mesi ho chiesto di andare via…»
MILAN-BARCELLONA 4-0 – «Lui non c’era. Lo avevano appena eletto presidente del Consiglio. Mi telefonò il giorno prima della partita: “Caro Dejan, dicono che sei un Genio. Bene, dimostramelo contro il Barcellona”».
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