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Vincenzo D’Amico e il suo dribbling infinito

L’omaggio a Vincenzo D’Amico, ex centrocampista, protagonista del primo scudetto della storia della Lazio. I dettagli

Ogni volta che se ne va un giocatore che si è fatto amare nel passato succede un miracolo, forse la risposta più umana che ci sia alla crudeltà di un giorno tragico: lo ripensiamo esattamente come quando scendeva in campo, come se non se ne fosse mai andato da quel rettangolo verde nel quale ha esercitato il potere di entusiasmarci, emozionarci, farci gioire e disperare. Eterniamo quegli attimi, proprio quando la vita ci costringe a fare i conti con la tragedia. Nel caso di Vincenzo D’Amico, che ci ha lasciato troppo presto, questa operazione che avviene nel cervello e nel cuore di ognuno è ancora più immediata, più automatica: anche i tanti anni che lo hanno visto operare in altri contesti, infatti, facevano pensare a una linea di continuità tra la fantasia che metteva nella sua gioia di essere un calciatore e la divertita ironia di quando il calcio lo commentava negli studi televisivi. Sapeva dribblare la banalità, ovunque ci fosse, ecco la sua coerenza.

C’è un giorno speciale, nella memoria del popolo laziale: il 9 gennaio del 2000. Presente e storia, in quella domenica si impastavano, la squadra dell’epoca era scesa in campo battendo il Bologna e a fine gara si celebrò il compimento del primo secolo biancoceleste con gli eroi del 1974. I protagonisti del primo scudetto riscendevano in campo, mentre quelli del secondo – non sapendo ancora di esserlo – avevano appena finito. Un’unione che su Il Messaggero Clemente J.Mimun raccontò così: «Non faccio il sentimentale, conosco come tutti i tifosi e gli addetti ai lavori, le regole del mercato e della globalizzazione, ma la bella rimpatriata con Pulici, Petrelli, Martini, Wilson, Nanni, Chinaglia, Garlaschelli, D’Amico, ma anche Fiorini, Acerbis e i tanti che abbiamo rivisto in campo, mi ha rinfrancato. Così come è stato bello veder gli occhi inumiditi della curva nord quando sono stati citati i nomi di Lenzini, Maestrelli, Re Cecconi e Frustalupi. Sarà perché il tifo è un po’ un antidoto contro il passare degli anni. Forse dipenderà dai ricordi che ciascuno di noi affianca o sovrappone alle imprese e alle disavventure dei propri beniamini, ma a questa dimensione del fenomeno calcio non rinuncerei mai». C’è anche tutto questo nel grande amore che in questi giorni sta ricevendo Vincenzo D’Amico: la consapevolezza che non c’è più qualcuno d’irrinunciabile.

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Redazione F

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