In un’intervista al Corriere della Sera, Giovanni Galeone — ex allenatore ed ex mentore di Massimiliano Allegri — ha espresso un giudizio spietato sul calcio di oggi e sulla Juventus. Non è solo nostalgia, ma un’accusa precisa a un sistema che ha perso la sua identità.
“Per fortuna non alleno più, rischierei di morire in panchina. Mi salterebbero le coronarie se un mio difensore toccasse la palla all’indietro verso il portiere. Un autogoal come quello del Napoli a Como mi avrebbe ucciso. Ma è mai possibile? ‘Sta palla sempre indietro, ‘sta partenza dal basso. Ma basta, fatela finita. La Fifa dovrebbe fare come nel basket: 10 secondi per superare la metà campo. Ma tanto poi superata quella sarebbe la stessa storia, solo passaggi inutili.”
Ma non è solo una questione tattica. Secondo Galeone, anche la qualità tecnica dei giovani è in netto calo.
“C’è anche un problema di concentrazione: un goal come il secondo contro la Germania nemmeno all’oratorio. Le partite al 90% sono di una noia mortale. Batti un calcio d’angolo e dopo tre passaggi, sei di nuovo dal tuo portiere. Tutte geometrie senza fantasia. Così il calcio non è nulla.”
“I ragazzini che giocano a pallone non si divertono più. Gli insegnano gli schemi e non sanno più stoppare una palla, palleggiare, saltare l’uomo. Chi ci riesce ancora andrebbe protetto dal Wwf: sono esemplari in via d’estinzione.”
La critica più forte, però, arriva quando si parla di singoli giocatori. In particolare, Galeone punta il dito su uno degli attaccanti più pagati della Serie A:
“La Juve? Dico solo questo: da un milione netto al mese a Vlahovic, forse l’unico giocatore slavo — e io me ne intendo, li adoro da 80 anni — che non sa stoppare una palla: non ci riesce proprio.”
Anche su Allegri, suo storico allievo, Galeone non risparmia commenti:
“Allegri? Andrebbe molto bene. E glielo auguro. Anche se sono stato arrabbiato con lui. Per un po’ mi ha chiamato e non mi andava di rispondere. Era diventato troppo pigro. Deve allenare, è bravissimo. Chissà, magari esagero. Magari non dipende solo da lui. Non arriva la chiamata giusta. Fossi stato il Milan, di corsa. Ma poi ci siamo sentiti e mi ha detto che non ci va. Ecco: alla Roma lo vedrei benissimo. Poi va a sapere. Io ’sto calcio non lo capisco più.”
Alla fine, tra ironia e amarezza, resta la sensazione di un uomo che ha vissuto un calcio diverso, fatto di passione autentica e talento puro. E che oggi, semplicemente, non si riconosce più in questo sport.
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