Beppe Bergomi a SportWeek ha parlato del ruolo del capitano per quel che riguarda la sua esperienza ed in generale. “Io la fascia l’ho messa nell’anno dello scudetto. All’inizio la condividevo con Beppe Baresi, che poi scivolò in panchina. Poi sono stato capitano fisso dal ’92 fino alla chiusura della carriera. Ero il capitano di una grande squadra, in cui ero partito dalle Giovanili. Per me era motivo di orgoglio. Io mi sono sempre ritenuto un leader silenzioso. Preferivo che a parlare fossero i miei comportamenti: in allenamento “tiravo” il gruppo, andavo via per ultimo dal centro sportivo, cercavo di inculcare il senso di appartenenza, il significato di indossare una maglia tanto importante, ai giovani e agli stranieri che arrivavano. La prima cosa che facevo, durante i ritiri estivi, era di andare nelle loro camere“.
“Secondo me non è cambiato. Un capitano deve attrarre a sé le persone, e per riuscirci deve essere credibile. Ora i giovani vogliono tutto e subito: per questo c’è bisogno di carisma. E non c’è bisogno della fascia per dimostrarlo: penso a Simeone, un leader nell’Inter di capitan Zanetti”.
“Un capitano, prima ancora un calciatore, che è cresciuto tantissimo. Prima, nei momenti di buio, quando cioè non segnava, si intristiva e non era neanche utile alla squadra. Dall’anno scorso invece è fondamentale pure quando non fa gol, proprio perché aiuta la squadra in maniera diversa, con una corsa, una sponda, un assist in più. Mi sembra poi una persona positiva. Certo, ha questo sguardo truce che io non avevo, ma è il capitano perfetto per questa squadra. Un altro che potrebbe diventare capitano-simbolo è Barella“.
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