Il calcio è mutevole, si rinnova, si aggiorna e talvolta smentisce credenze e certezze. L’Italia di Conte è e sarà uno dei laboratori di questa mutazione che in terra nostrana incontra storicamente resistenze e diffidenze. In questo senso già solo la prova di Giovinco nell’ultima mezzora contro l’Azerbaigian, il suo impiego “vecchia maniera” nonostante i minutaggi minimi degli ultimi due anni a Torino, la coppia d’attacco degli sbarbatelli che tali sono solo appunto per i cronisti italiani e, in ultimo, quel centrocampo che pare l’unico reparto con proprie gerarchie e propri pilastri.
Ed è proprio in questo reparto che ci si abituerà al primo vero cambio generazionale dopo i due mondiali falliti tra Africa e Sudamerica. Perché Conte ha deciso: a Marchisio non rinuncerà mai. Non ci saranno Pirlo, De Rossi, Thiago Motta che tengano. Lui è adesso il titolarissimo. Più ancora che nella Juventus 2011/12 che stupì tutto e tutti, dove poi arrivò una sorpresa chiamata Pogba e per il centrocampista torinese anche la panchina.
Sono però cambiate le coordinate di chi gli sta intorno, sono mutate le necessità in Nazionale così come nella Juventus. Questione di uomini e di fatti: la carta d’identità di Pirlo, la perduta dinamicità di giocatori anche forti ma molto diversi, e poi sotto la Mole il caso Vidal e Asamoah che difficilmente entrerà come si poteva immaginare (sbagliando) nella rotazione degli interni.
E poi non ci sono soltanto le considerazioni e comunque l’ottimo abbrivio di stagione cesellato da Marchisio. Ci sono proprio gli indizi: la convinzione di Conte viene anche dal fitto dialogo e confronto che ha vissuto con il proprio staff tecnico, Alessio e Carrera in primis, dopo che il vice-allenatore andò a visionare al Vicente Calderon Atletico Madrid-Juventus secondo appuntamento della Champions League 2014/15 bianconera. Salvò pochi, produsse un report entusiastico su Marchisio. Così adesso, salvo involuzioni impronosticabili, Marchisio s’è ripreso molto di più che la sola Juventus.
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