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Milan, i motivi del momento magico di Honda: i numeri, la famiglia e Pippo Inzaghi

Ci sono due colori che in qualche modo hanno sempre contraddistinto la carriera calcistica di Keisuke Honda: il bianco e il nero. Due colori antitetici che proprio non riesce a digerire, ossigenato com’è sul crine, variopinto nel suo essere modaiolo, eppure metafora delle sue metamorfosi ovunque sia andato, passando solitamente dalle buie stalle alle luminose stelle; così al Milan la storia di sta ripetendo come accadde al VVV Venlo prima e al CSKA Mosca poi, e se ancora ci fosse qualche dubbio che il bianconero sia prerogativa e indigestione insieme, mettiamoci pure il fatto che il samurai di Milanello ha fin’ora segnato in 5 delle 7 partite di campionato giocate, cioè in tutte tranne che contro Juve e Cesena. E i colori sociali di questi due club sono ben noti.

E’ che il nipponico a 28 anni ancora non ha abbandonato vecchie attitudini che solitamente si smussano con l’età e l’esperienza: è come se fosse prigioniero del suo stile, del suo carattere, come se per rendere davvero sul rettangolo verde abbia bisogno dell’allineamento dei pianeti e di una serie di circostanze favorevoli forse tipiche dei giapponesi. Probabilmente Galliani e Inzaghi in fondo lo sapevano: anche in Olanda e in Russia aveva dovuto carburare, problemi di lingua e di cultura, per un giocatore che parla poco eppure appare molto, a cui occorre come il pane la fiducia, prima in se stesso e poi degli altri. Fiducia che non aveva nei primi sei mesi alle dipendenze di Clarence Seedorf, quando viveva in hotel, non toglieva mai gli occhiali da sole e vagava spaesato in campo.

Poi ha capito, egli stesso e prima che qualcuno gli indicasse la via, che per voltare pagina doveva affidarsi ai dettagli: è andato a vivere con moglie e cane in Via Montenapoleone, ha imparato rudimenti di italiano, si è affidato alle cure tattiche di Inzaghi. No, lo stile non si può cambiare, ma quando la testa diventa sgombra allora è più facile eseguire a perfezione giocate in fondo insite nel suo dna; Honda, d’altronde, aveva un curriculum niente male tra Coppe d’Asia e scudetti in Russia, bastava solo rimetter mano alla sua collocazione con Super Pippo che prima gli ha regalato la fiducia per lui vitale, quindi lo ha fatto sentire pedina importantissima dello scacchiere, torre e non più pedone. E allora il Diavolo si gode la sua rinascita, e Galliani può sciorinare qualche battuta:

“In estate abbiamo restituito suo fratello e ci siamo fatti dare l’Honda buono. Battute a parte, i giocatori non sono macchine: il loro rendimento cambia da una stagione all’altra. Keisuke ci piace per la sua capacità di fare le due fasi”.

Nessun enigma, la soluzione è stata la più semplice, la più scontata; Inzaghi liquida l’argomento: “Troppo facile parlarne oggi: avevo detto ad agosto che avrebbe fatto una grande stagione. Io l’ho solo messo nella sua posizione ideale“. E così il capocannoniere del campionato gongola in silenzio, ma due paroline le mette in fila per spiegare: “Solitamente non sono molto bravo nell’uno-contro-uno, ma questa volta ho pensato solo a giocare semplice. Non esistono giocate facili in Serie A, ma questa volta ho giocato semplice e ha funzionato“. Se durerà non dipende solo da schemi, infortuni e forma fisica: Honda può perdersi in un attimo e nessuno capirà perché, ma non sarà uno smarrimento come gli altri. Per lui è tutto o bianco o nero, il 30 novembre contro l’Udinese ne sapremo di più.

vieni127

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