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Prandelli non è Archimede

L’ultima spiaggia. L’ultima speranza. L’ultimissima. L’ha detto pure capitan Buffon: “Per quanto la partita contro l’Uruguay sia durissima, uscire sarebbe un fallimento“. Per come è andata fin qui, ovvero la dinamica che ha avuto il girone, non c’è dubbio che sia così. In fondo le cose cambiano in base agli eventi, alla loro piega, perché come diceva un antico proverbio cinese: “Anche se la spada della giustizia è affilata, questa non ucciderà mai l’innocente“.

E di colpe questa Italia ne ha non poche, quasi tutte riassunte nei novanta minuti contro la Costarica, dalla ricerca dell’alibi preventivo per il clima all’assunzione di un modulo di gioco statico provato a memoria una volta sola nella penultima amichevole pre-Mondiale contro l’Irlanda del Nord (e con risultati discutibili). Dall’eccessivo mescolare le carte in sede di convocazione da parte di Prandelli, epurando parte dell’usato sicuro e negandosi alcuni jolly importanti che possono compensare qualsiasi infortunio e qualsiasi necessità a gara in corso (Giaccherini e Florenzi per fare alcuni nomi, a quell’ostentazione di sicurezza mostrata dopo il successo contro l’Inghilterra neppure in una partita si potesse dimostrare tutto al mondo).

Critiche a parte, resta anche il buono dei due risultati su tre, del banco di prova che vale un campionato del mondo vista la caratura degli avversari (che sono anche campioni del Sudamerica in carica). Il buono di una nazionale che, se solo capace di seguire il grande esempio della propria storia, potrà tirare fuori il meglio, partendo dal presupposto che qualcosa da tirar fuori ci sia ancora.

Per esempio, in questo meglio al netto dei gusti personali e prima ancora della difesa a tre “salvavita” della Juventus c’è Andrea Pirlo al centro del mondo. Al centro delle operazioni. Al centro del gioco. Al centro del campo. Davanti alla difesa. Perché per carità Pirlo è fin qui stato tra coloro che non hanno deluso, ma gli si è chiesta anche molta corsa e un sacrificio in zone di campo poco agevoli (lui è un campione, vuole onorare l’ultima sua avventura in azzurro, e quindi in pochi ci hanno fatto caso).

Adesso lo scettro va di diritto tutto nelle sue mani. Perché così va il mondo, caro Prandelli. Le provi tutte, inventi calcio e ti torna sabbia, esattamente ciò che non devi fare se sei un selezionatore e non hai bisogno di far vedere che sei un allenatore. Passiamo quindi alla fase tre: le cose semplici, le uniche che questa Italia possa cercare di fare. Con il rischio di uscire dalla coppa da italiani, ma anche con la chance di ridurre Cavani e Suarez a grandi nomi in fondo buoni per i giornali che vivono di calciomercato.

lucamomblano

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