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Schweinsteiger ancora più eroe di Gotze, ecco perché

Le cronache della finalissima del Mondiale dei Mondiali (ma poi, perché sarebbe il Mondiale dei Mondiali? Vale uno, no??) raccontano che l’eroe della Germania che sconfigge nei tempi supplementari l’Argentina si chiama Mario Gotze, ha 22 anni, è partito quasi titolare per poi perdere il posto ed è uno degli enfant-prodige più reclamizzati dal nuovo corso tedesco sin da quando aveva 14 anni.

Insomma, gli scout ci avevano visto bene: talento, scaltrezza, caratteristiche “moderne il giusto” e bla bla bla. Va bene così, tutto limpido e già in grossa parte dimostrato a suon di partitoni con la maglia del Borussia Dortmund, anche se il Borussia non è il Bayern (che ha pagato l’intera clausola rescissoria per aggiudicarselo) e il salto di qualità nel calcio di club è ancora completamente da realizzare.

E’ bravo, ha scolpito nella storia un piccolo grande capolavoro sia empirico che simbolico. Chapeau, Mario. Da oggi unico vero SuperMario di una lunga stirpe (da Basler a Balotelli il passo è breve, passando qui da noi anche dal Frick di Verona).

Gli occhi però ci hanno detto altro. O, per lo meno, anche altro. Cioè che il calcio è un romanzo d’azione, d’emozione e di lotta tra il bene e il male (manco fossimo a Hollywood, ma ci piace così) e che allora l’eroe del calciofilo, lettore e consumatore accanito di partite, colui che non stacca mai gli occhi, che si fa un giudizio per poi cambiarlo nella convinzione di non smarrire mai la propria coerenza, ecco quell’eroe di Rio è stato soltanto uno. Bastian Schweinsteiger, personaggio che il calciofilo ha imparato a conoscere sin da quando arava la fascia destra, e talvolta sinistra, del Bayern di quasi 10 anni fa.

Quello che doveva lasciare la Baviera per 12 milioni di euro alla vigilia dell’Europeo 2008, quello che poi la società bloccò. Quello inventato da Van Gaal in mezzo al campo, miglior recuperatore/distributore di pallone dei 5 massimi campionati continentali (statistiche alla mano, signori), quello che piangeva come un bambino nella finale già vinta e poi persa in Champions League contro il Chelsea.

Quello che s’è poi rifatto agli ordini della macchina perfetta di Heycknes. Quello che oggi non può stare fuori mai, fisico permettendo. Un fisico eccezionale, una testa eccezionale. Crampato prima del novantesimo contro l’Argentina, l’unico a poter tener testa a un certo punto alle botte e all’intelligenza calcistica di Javier Mascherano. Le dà ma il doppio ne prende. Si gira il ginocchio, si apre lo zigomo. Era in condizioni precarie già ancora alla vigilia della goleada contro i padroni di casa, redarguisce tutti dopo il gol dell’1-0. Con le lacrime ho già dato, pensava. Aveva ragione. Ecco perché la Coppa del Mondo la merita più di tutti i compagni di squadra. Perché Schweinsteiger, ex promessa dello sci tedesco, ha scelto la strada giusta, con la testa giusta, senza che fosse necessariamente la più veloce.



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