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Un anno di calcio internazionale: il 2014 sotto la lente d’ingrandimento

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Chi ama il calcio non vive di sola Serie A. Anzi, di questi tempi spesso, purtroppo troppo spesso, per riconciliarsi con lo sport più bello del mondo dobbiamo far ricorso ai campionati esteri o, questa sa di beffa, ai turni decisivi della Champions League, partite vibranti da cui mancano le nostre formazioni da tanto troppo tempo. Dunque bye bye 2014, un anno di calcio al di fuori degli italici confini è andato in archivio, quali sono stati i momenti più emozionanti, importanti, eccitanti? Cerchiamo di fare ordine spulciando tra gli ultimi 12 mesi di calcio internazionale, tra campionati esteri, Champions League e il Mondiale in Brasile . Buona lettura e… buon 2015!

(Qui abbiamo fatto lo stesso ma in riferimento al calcio italiano)

La squadra

La decima Coppa Campioni tanto attesa alla fine è arrivata con Carlo Ancelotti in panchina, l’allenatore emiliano è riuscito a trarre il meglio dai campionissimi a disposizione che dopo il Mondiale, e con la coppa dalle grandi orecchie in bacheca, sono stati raggiunti da giocatori del calibro di Kroos e James Rodriguez, pure al netto di alcuni addii eccellenti come quelli di Xabi Alonso e Di Maria. Quando una squadra è la più forte del globo, e il Real Madrid attualmente lo è, cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia: finita la scorsa stagione in trionfo, pur dovendo assistere alla vittoria in Liga dei concittadini dell’Atletico, attualmente è una macchina da guerra che vince da 22 partite di fila avendo per altro aggiunto nel già nutrito palmares una Supercoppa Europa e un Mondiale per Club, senza considerare il primato momentaneo in Liga e un girone di Champions passato in scioltezza con 18 punti su 18. Le merengues non hanno rivali, non oggi, e il merito è per grande parte di Carletto.

Il calciatore

Va bene, forse anche Gigi Buffon nel 2006 (ma oggi non sfigura di certo, anzi) meritava una nominations tra i finalisti per il Pallone d’Oro (quell’anno poi vinto da Cannavaro), ma bando ai sentimentalismi del passato, il presente è del portierone tedesco del Bayern Monaco, per alcuni non solo il migliore tra gli estremi difensori in circolazione ma addirittura il più forte calciatore del mondo. Col Bayern Monaco è una sicurezza, ma oltre all’efficacia Manuel Neuer piace anche per la spettacolarità delle sue parate, per la spavalderia con cui occupa un terzo di campo (e non solo la sua area di rigore), per la voglia di non subire mai gol, neanche quando i suoi compagni ne hanno già fatti una mezza dozzina; in vetta al mondo con la Germania, incarna la modernità del gioco del calcio pur avendo i guantoni alle mani: non banale tra una squadra di fuoriclasse spiccare oltre che per la divisa differente, se i tedeschi hanno trionfato in Brasile non senza un pizzico di difficoltà (partita contro i verdeoro a parte) buona parte dei complimenti sono andati a lui, oggi più che mai noto a tutti gli appassionati ai quattro angoli del pianeta.

La filosofia di gioco

Nell’anno dei Mondiali bastava laurearsi campioni del mondo per ricevere i complimenti unanimi, eppure la Germania è riuscita ad andare oltre il semplice trionfo, merito probabilmente anche della Bundesliga tutta (capace di qualificare quattro squadre su quattro agli ottavi di Champions) e del Bayern Monaco che pure incarna uno spirito tripartito in cui accanto all’anima tedesca convivono l’opulenza bavarese e la tecnica spagnola. Ma tant’è, la realtà dei fatti racconta di una squadra che ha insegnato calcio nella terra del pallone, in Brasile, magistralmente messa in campo dal mai abbastanza considerato Joachim Loew che anche grazie agli interpreti della sua Nazionale ha messo sotto senza appello Portogallo e Brasile, sapendo soffrire contro Algeria e Francia e portando a casa la quarta Coppa del Mondo in finale contro l’Argentina, gol all’extra-time dalla panchina con assist di Schurrle e rete di Gotze: inutile soffermarsi sul sistema di gioco dei panzer, un connubio geometrico e artistico di tecnica e forza.

La partita

Brasile – Germania 1-7 dell’8 luglio 2014 – Tra i match memorabili dell’anno solare che sta andando in archivio le grandi finali meritano loro malgrado un gradino più basso rispetto alla partita delle partite: emozionante ma non proprio spettacolare l’ultimo atto della Champions col Real in grado di acciuffare l’Atletico solo al 90esimo grazie al solito Ramos, bloccata dalla paura di non farsi male la finale mondiale vinta più o meno meritatamente dalla Germania, che pure aveva scritto una pagina importantissima della storia di questo sport pochi giorni prima a Belo Horizonte quando aveva schiantato i padroni di casa, i pentacampeao, i leggendari brasiliani con un 7-1 a domicilio di proporzioni mitologiche. Tutti coloro che hanno assistito alla partita hanno avuto un senso di disagio, quasi di smarrimento, di fronte alle folate tedesche che infierivano sulla fragilità brasiliana, una sfida che non c’è mai stata ma che al contempo ha consegnato alla memoria collettiva un dramma sportivo (con annesso trionfo teutonico) senza precedenti nell’era del calcio moderno.

Dr.Jekyll & Mr.Hyde

Senza quello scivolone a metà campo di Steven Gerrard, a maggio il Liverpool si sarebbe potuto laureare campione d’Inghilterra dopo 25 lunghi anni; i Reds però persero in casa col Chelsea a causa di una topica del loro capitano, poi l’addio di Suarez volato a Barcellona ha finito di disintegrare le certezze che sulla sponda rossa del fiume Mersey s’erano convinti di avere i giocatori, il tecnico Rodgers e l’appassionato popolo della Kop. Ma con la nuova stagione sono ritornati i vecchi fantasmi, nonostante la spesa folle fatta in casa Southampton con la ciliegina (amara) di Balotelli sulla sirena del mercato: il Liverpool naviga senza lode a metà classifica, eliminato dalla Champions e con un gioco lontano parente di quello espresso la scorsa stagione.

E’ cambiato tutto invece in casa Marsiglia: dopo una campagna europea indecente (nel girone col Napoli, sei sconfitte su sei), l’Olympique ha cambiato guida tecnica affidandosi a quella vecchia volpe argentina di nome Marcelo Bielsa. E el Loco, come lo chiamano ormai tutti, ha rifatto esplodere di passione il Velodrome: Gignac è risorto, ma non solo lui, tutta la squadra gira e corre come vuole l’allenatore che assiste la partita seduto su una borsa frigo, parla mal volentieri coi giornalisti e che durante la settimana sperimenta metodi di lavoro mai visti dalle parti di Marisglia. Così dopo il girone d’andata, l’OM si ritrova in testa alla Ligue 1 pur tallonato da Lione e Psg, ma è comunque tutta un’altra storia rispetto al recente passato.

I calciatori dal doppio volto? Qui osiamo. Mario Balotelli è in calo da ormai un anno e mezzo, ma l’involuzione patita nel 2014 è ancora più clamorosa di quella del 2013; qualche coniglio dal cilindro lo ha cacciato in rossonero, pur non riuscendo ad evitare il naufragio del Milan, arrivando ai Mondiali da potenziale protagonista dell’Italia (con tanto di gol all’esordio). Poi un’ecatombe tra gol sbagliati in Brasile e in Premier e un futuro più nebuloso del cielo di Liverpool. Chi invece ha ingranato la marcia con la nuova stagione è Lionel Messi, eliminato ai quarti col suo Barcellona nella scorsa Coppa Campioni (dietro anche in Liga) e incapace di condurre l’Argentina sul tetto del mondo dopo un ottimo girone: nonostante queste delusioni la Pulce ha ricominciato l’anno a testa bassa con rinnovata fiducia stabilendo nuovi record e segnando a profusione. Complimenti per la costanza.



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