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Venerdì c’è Croazia – Serbia, un calcio ai (brutti) ricordi del passato: le parole dei protagonisti

In tutta Europa i campionati si sono fermati per lasciare spazio alle nazionali, ci apprestiamo a vivere una settimana ricca di appuntamenti tra amichevoli e, ciò che più conta, sfide di qualificazione per il mondiale brasiliano del 2014. Il calendario però offre una partita che più di tutte le altre è carica di significato e non solo per i tre punti in palio: venerdì a Zagabria si affronteranno per la prima volta nella storia Croazia e Serbia, un incrocio che va ben oltre il mero significato sportivo. Questi due paesi, che una volta si riconoscevano sotto la stessa bandiera, sono stati protagonisti di un pezzo di storia del novecento, loro malgrado, per la terribile guerra civile che ha visto sconvolto quella che una volta era la Jugoslavia.

Proprio una partita di calcio per molti fu la scintilla che avrebbe poi portato alla terribile devastazione della guerra. Era il 1990 e la Dinamo Zagabria ospitava la Stella Rossa allo stadio Maksimir, lo stesso dove si giocherà fra due giorni. La rivalità sportiva aveva assunto connotati politici e nazionalistici, e la presenza di 3000 sostenitori della Stella Rossa guidati da Zeljko Raznatovic, colui che passerà alla storia come la tigre di Arkan, non rese certo la situazione più semplice.

Quella partita non fu mai giocata, gli scontri tra la polizia, a maggioranza serba, e i tifosi croati durarono ore e si trasferirono anche per le vie della città. I giocatori della Stella Rossa furono costretti a rinchiudersi negli spogliatoi e a lasciare lo stadio con un elicottero militare. Un’immagine divenne molto famosa e cioè quella di un giovane Boban, all’epoca calciatore della Dinamo, che colpiva con un calcio volante un poliziotto che stava picchiando un tifoso croato, per quel gesto il futuro milanista non fu convocato per i mondiali del 1990 e fu sospeso per sei mesi.

Dinamo Zagabria – Stella Rossa: il calcio di Boban ad un poliziotto

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Evidentemente non può essere una partita come le altre, tante sono le ferite ancora aperte e che forse mai si rimargineranno. Malgrado tutto quelli che saranno i protagonisti che si sfideranno fra un paio di giorni a Zagabria provano a mettere da parte il passato e si augurano che in fondo si assisterà semplicemente ad una partita di calcio. Lo sa bene Dario Srna che era in campo anche in quello che può in qualche modo essere definito l’unico precedente, era il 1999 e la sua Croazia affrontò quel che restava della Jugoslavia, all’andata a Belgrado finì 0-0, ma il ritorno a Zagabria fu a favore dei serbi che con un 2-2 riuscirono a strappare la qualificazione. Per il centrocampista croato, capitano dello Shakhtar Donetsk, quella di venerdì non è una partita come tutte le altre:

Conoscete bene la storia dei due Paesi e quello che si porta dietro. Ma durante quei novanta minuti la storia ce la dovremo scordare, dovremo essere professionali. In campo ci saranno 22 giocatori di altissimo livello, così come in panchina. E spero che venga fuori una bella partita, spettacolare. Dovremo essere d’esempio per tutta l’Europa.

Srna rispetta l’avversario, ne riconosce i pregi e i punti di forza, ma fa affidamento sui suoi tifosi, sa che per molti quello che è successo non è facile da dimenticare ma si augura che fra due giorni si possa parlare solo di calcio:

L’accoglienza? Vedremo. Magari ci saranno dei fischi, di sicuro è uno stadio molto caldo e su questa partita c’è una pressione incredibile da mesi. Ne parlano tutti, per strada, sui giornali. Però mi piace pensare che la cosa più importante in Croazia – Serbia sia il calcio. La rivalità fra croati e serbi? C’è gente che non può dimenticare, e gente che magari con il tempo riesce a dimenticare. Ma è la storia. Non mi piace molto parlarne, perché non possiamo fare nulla per cambiarla. E non dobbiamo nemmeno pensarci. Ripeto: è calcio, e vogliamo che sia calcio. È una partita importantissima per il girone. Noi siamo messi meglio, ci arriviamo con sei punti di vantaggio, giochiamo in casa e siamo favoriti. Ma contro abbiamo una squadra molto dura, un gran mix di gente esperta e giovani rampanti.

In qualche modo il centrocampista croato cerca di evitare i ricordi terribili del passato, chi invece non si sottrae ad un viaggio nel tempo, per quanto doloso, è Sinisa Mihajlovic. L’ex Inter e Lazio sarà in panchina ma confida che pagherebbe qualsiasi somma pur di giocare questa partita che per lui ha un forte carico emotivo. Di mamma croata e padre serbo, Mihajlovic ha vissuto sulla sua pelle la guerra civile, ha conosciuto la disperazione e per questo spera che in fondo venerdì si possa parlare solo calcio giocato. Nell’intervista concessa in esclusiva alla Gazzetta dello Sport racconta un episodio drammatico della sua vita che più di tutti può rendere l’enormità dell’orrore della guerra nei Balcani:

Le guerre, tutte le guerre, fanno schifo. Ma una guerra civile come la nostra è peggio. Ragazzi cresciuti insieme che si sparavano contro, famiglie disgregate. Io ho visto la mia gente cadere, le nostre città rase al suolo, bombe su ospedali, scuole, civili: tutto spazzato via. Il mio migliore amico ha devastato la mia casa. Quando i miei genitori hanno lasciato Vukovar per Belgrado, mio zio, croato e fratello di mia madre, le ha telefonato: “Perché sei scappata? Dovevi rimanere qui, così ammazzavamo tuo marito, quel porco serbo di m…”. Mesi dopo mio zio fu catturato da Arkan, stava per essere ucciso, ma gli trovarono addosso il mio numero di cellulare. Mi chiamarono, e riuscii a salvargli la vita.

Anche Sinisa Mihajlovic era in campo a Zagabria nel 1999 e i suoi ricordi di quella partita sono ancora molto forti, la guerra era ancora presente nella testa dei due popoli e la situazione era incandescente nonostante gli appelli da parte di entrambe le federazioni alla calma:

La mia Serbia si chiamava ancora Jugoslavia, era la prima e finora unica volta, dopo la guerra, che incontravamo la Croazia. Ultima gara, decisiva, per la qualificazione agli Europei. Dentro o fuori. Lo stadio di Zagabria era un vulcano. Polizia ovunque. Avevamo ancora la guerra sulla pelle. In campo c’erano tanti ex compagni della vecchia Nazionale. Stavolta uno contro l’altro. Io ero uno di loro. Entriamo in campo, una bolgia: guardo verso la curva croata, c’è uno striscione “Vukovar 1991”, la città simbolo della guerra. La città dove io, figlio di madre croata e padre serbo, sono nato e cresciuto. Mi avvicino, mi inginocchio e mi faccio il segno della croce per ricordare i serbi caduti. Lo stadio per poco non viene giù.

Nonostante il clima pesantissimo il buon Sinisa riuscì ad essere protagonista assoluto del match con due assist e alcune punizioni delle sue che fecero letteralmente tremare i tifosi croati:

Mi urlano di tutto. Ma ogni volta che batto una punizione o un calcio d’angolo non vola una mosca per il timore. Prendo un palo, una traversa e faccio due assist per i gol di Mijatovic e Stankovic: 2-2, qualificazione ed eliminazione della Croazia. Sui giornali serbi prendo 10 in pagella. Quella resta la partita più sentita della mia carriera, non la dimenticherò mai.

Anche quella sfida del 1999 fu caratterizzata da un episodio molto particolare, utile a far capire il clima che si respirava e che ebbe per protagonisti il serbo Mirkovic e il croato Jarni. Il secondo fece un fallo sul primo, la caduta dell’ex di Atalanta e Juventus fu abbastanza plateale e così il collega lo rimproverò a muso duro, per tutta risposta si vide afferrare per le parti intime. Il gesto, che surriscaldò i già bollenti animi in campo e sugli spalti, costò il rosso a Mirkovic.

Croazia – Jugoslavia: le tensioni tra Mirkovic e Jarni

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Mettendo da parte i ricordi il ct della Serbia parla della partita di domani, un incontro che potrebbe essere già decisivo per le sorti della nazionale, una sconfitta potrebbe compromettere irrimediabilmente la corsa verso i mondiali brasiliani:

“Se ho accettato di fare il c.t. è anche per questa sfida con la Croazia. Darei tre anni di vita per poter scendere in campo in questa partita. Non dico per vincerla, solo per giocarla. Spero di riuscire a trasmettere ai miei almeno un po’ della mia voglia. Ma… questa partita non è la continuazione di una guerra. Quella vera, maledetta e sporca l’abbiamo già vissuta e ne portiamo ancora addosso ferite e cicatrici. Questa è solo una gara sentita, calda, importante: per la classifica e per la crescita dei miei ragazzi. Abbiamo 4 punti, Croazia e Belgio 10. Se vinciamo, arriviamo a -3 e siamo ancora in corsa.

Ha parlato anche il ct della Croazia, Igor Stimac ha preferito concentrarsi sulla partita definendola comunque non fondamentale dal momento che il cammino è ancora lungo: “Le partite danno tutte gli stessi punti e tutti gli avversari sono difficili.Per la prima volta la Croazia è inserita in un girone in cui nessuna squadra può essere considerata un’outsider”. Lo stesso Stimac però nei giorni scorsi aveva scatenato una mezza polemica quando aveva suggerito di far battere il calcio di inizio della partita a Ante Gotovina, leader dell’esercito croato accusato di aver compiuto azioni di sterminio durante la guerra e solo di recente assolto da queste terribili accuse.

A gettare acqua sul fuoco ci ha pensato il presidente della federazione croata Davor Suker, l’ex attaccante ha confidato di coltivare una speranza: “Vorrei tanto avere la bacchetta magica per fare in modo che non venga fischiato l’inno serbo”. Venerdì a Zagabria non ci saranno tifosi serbi, lo stesso accadrà nella sfida di ritorno, un segnale di quanto il passato sia tutt’altro che archiviato. Non è facile guardare al futuro e non lo sarà ancora per molto tempo, sperare però non costa niente, a volte lo sport può avere la forza e il potere di cambiare la storia, o per lo meno di indirizzarla verso percorsi più positivi.



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