Reja

78 anni per Edoardo ‘Edy’ Reya: una carriera lunghissima alle spalle e la voglia di continuare che non è mai passata

Oggi Edoardo Reja compie 78 anni. Un’età dove molti, legittimamente, se ne stanno in pensione serenamente, nel ruolo di osservatori delle cose e del lavoro altrui e spesso con le mani dietro la schiena. Ma quelli come lui sono fatti di una certa pasta. Li si potrebbe definire allenatori a vita, pensando a come abbia iniziato nell’altro secolo che era anche un altro millennio, dopo un’onestissima carriera da giocatore di provincia. Un percorso avviato in Serie D nel 1979 e che ha avuto tappe praticamente in ogni dove – per modo di dire, ma neanche tanto -, fino ad arrivare ai giorni nostri, quando pochi mesi lo si è visto andare in Slovenia a cercare (inutilmente) di sollevare un club che se la passava male.

Edoardo, più noto come Edy, è semplicemente una di quelle persone che si potrebbero definire “alla Giovanni Trapattoni”. Travolti dalla passione per il pallone, si sono messi in discussione e sperimentati in contesti tra i più diversi, come recentemente ha fatto in qualità di Commissario Tecnico dell’Albania. Quando ha vissuto anche l’emozione di sfidare l’Italia e deve essere oggettivamente una sensazione particolare ascoltare l’inno di Mameli da avversario, in un misto di orgoglio e commozione.

In una carriera così densa di esperienze, probabilmente il libro più originale sarebbe quello nel quale lui raccontasse tutto quello che ha fatto e, ancora di più, quello che ha invece sfiorato, quel che ha mancato, le strade non intraprese quando sembravano possibili, praticabili o anche no. I desideri non avverati e i motivi che hanno fatto in modo che andasse proprio così. Come quando si era ventilata l’idea che si sedesse su una delle panchine più prestigiose, quella dell’Inter dopo che Frank de Boer l’aveva lasciata, un’ipotesi che avrebbe potuto essere l’occasione della vita.

Il libro ancora non c’è. Noi, per fare gli auguri nel modo dovuto, vogliamo omaggiare Edy Reja riproponendo alcuni suoi giudizi sul calcio e i giocatori espressi negli ultimi anni.

KVARATSKHEILA – «Lo conoscevo già, l’avevo studiato nelle partite che aveva giocato la Georgia perché avremmo poi dovuta affrontarla in amichevole con l’Albania: con il match analyst Rossi lo studiammo in ogni minimo dettaglio. È un grandissimo calciatore, un fenomeno con la palla tra i piedi che non riesci mai a togliergliela: ogni sua giocata è determinante sia quando fa un assist, oppure quando tira in porta».

IL CALCIO ITALIANO – «In Italia si continua a prendere stranieri. Bisogna puntare sul settore giovanile. Guardate il Sassuolo con Scamacca e Raspadori o anche la Juve con Miretti e Fagioli. Serve coraggio perché all’estero se sei bravo ti buttano dentro».

L’ITALIA SENZA MONDIALE – «E’ stata una delusione un po’ per tutti, poi negli episodi è andata male. Mi dispiace molto, ma per fortuna Mancini è rimasto. Sono convinto che farà benissimo, c’è questo Pafundi di cui parlano tanto bene. Con lui, Miretti e Fagioli avrà modo pian piano di fare bene, merita di centrare altri obiettivi in futuro».

COSA STA CAMBIANDO IN ITALIA – «La mentalità sicuramente. Mourinho ora è arrivato e sta dietro e fa il contropiede. Ma gli altri cercano di più un gioco produttivo, aggrediscono alti per recuperare il pallone».

GASPERINI – «Per me è il Sacchi degli ultimi dieci anni per come ha rivoluzionato il calcio italiano. Alcuni dicono che sono cosa già viste? Forse sì, ma non come le fa lui».

L’ALBANIA – «La promozione in Lega2 di Nations League ha creato entusiasmo. Il calcio è lo sport più seguito nel paese. La federazione sta cercando di lavorare in profondità: si pensa a nuove strutture, a migliorare il livello degli allenatori, a creare un gruppo di preparatori atletici».

LA LAZIO E IL DERBY – «Quando ero alla guida della Lazio, il derby era la gara dell’anno. La stracittadina è sempre attesa con molta apprensione, è un match unico. La stracittadina l’ho sofferta nel corso della mia esperienza in biancoceleste, non ci si dorme la notte. Quando si perde, il derby lascia il segno, quando si vince invece, porta una felicità immensa. Il derby del 16 ottobre del 2011 ha rappresentato l’emozione più grande della mia carriera. Sono stato davvero l’uomo derby. Vincere contro la Roma al 93′ è un ricordo indelebile, è stato l’apice delle mie soddisfazioni».

IBRAHIMOVIC – «A chi si può paragonare? A nessuno, è straordinario e ha tutte le caratteristiche, sia fisiche che tecniche. Adesso è anche uomo squadra, l’esperienza lo ha fatto diventare uno che aiuta i compagni. Ronaldo per esempio è un giocatore più individuale, Ibra è veramente completo».

KLOSE – «Una volta Klose mi ha guardato storto, non voleva entrare. Mancavano un paio di minuti, avevo bisogno di far tirare il fiato a un suo compagno che non stava più in piedi. Mi guardò come per dire: ‘Io non entro per due minuti’. Io lo guardai come per dire: ‘Tu entri, altro che’. Ovviamente, entrò».

NAPOLI – «In serie B ho vinto dei campionati, ma la Serie A me l’ha regalata il Napoli. Gli azzurri mi hanno regalato il vero successo, anche dal punto di vista professionale, sono stati una fortuna per me. Dopo quell’esperienza, non ho sbagliato più un colpo perché dopo aver lavorato a Napoli puoi lavorare ovunque. La città azzurra ti irrobustisce, quell’avventura è stata una lezione di vita».

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ultimo aggiornamento: 10-10-2023


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