Sono molti gli spunti interessanti che emergono dall’intervista rilasciata da Daniele De Rossi al quotidiano La Repubblica, pubblicata oggi. Il 31enne centrocampista della Roma ha ammesso che “a 20 anni me ne sarei dovuto andare via dall’Italia, fare esperienza di vita e di calcio all’estero”. Così facendo “avrei giocato più Champions e forse più finali. Allargato i miei confini, e i miei confronti professionali”. A trattenerlo, in Italia e, soprattutto, nella Capitale, è stato qualcosa di preciso:

Io solo non ci sono mai stato, sono sempre andato a pranzo da mamma e papà, che abitano a tre minuti da me. Stavo nel brodo, molto coccolato, molto figlio. Difficile cambiare una cuccia comoda, più facile che te la aggiusti. Roma ti strega, da qui è quasi impossibile partire. I tifosi ti amano, ti seguono, se cadi, aspettano il tuo riscatto.

A proposito di tifosi, Capitan Futuro ha affrontato il mai piacevole argomento legato al suo stipendio, che lo rende il calciatore più pagato della serie A con sei milioni e mezzo a stagione. De Rossi ha fatto notare che “secondo i tifosi mi dovrei vergognare, quando non gioco bene, come se mi facesse piacere non essere sempre all’altezza”:

Se un cantante gira in Jaguar è figo, se ci gira un calciatore è stronzo. Non l’ho mai nascosto, quando c’era da rinnovare il contratto: gioco per chi mi dà più soldi. C’è un mercato, c’è un valore, non rubo. Se Madonna guadagna tanto significa che è brava, se lo fa un calciatore è solo un mangiasoldi. Per i tifosi dovresti sempre strisciare e batterti il petto. Ti considerano una loro proprietà: se perdi e giochi male hai rovinato e distrutto la loro vita. Altro che guadagnare, devi pagare.

De Rossi, che si è detto fiero di non aver fatto polemiche quando, sotto la gestione Zeman, non trovava spazio tra i titolari della Roma, ha ammesso anche di essere preoccupato per quanto potrà accadere fuori e dentro l’Olimpico al prossimo Roma-Napoli, dopo quanto avvenuto prima della finale di Coppa Italia:

Brutta storia, anche se gli ultrà hanno i loro codici. Dico: c’è uno, ancora in ospedale, che lotta tra la vita e la morte e tu non lo rispetti? Ti fai subito giudice, ti schieri sulla pelle di un ragazzo intubato a letto? Sarebbe meglio prima verificare la ricostruzione dei fatti, aspettare che il ferito esca dalla rianimazione. E sono anche preoccupato per quello che potrà succedere nel prossimo Roma-Napoli e anche Roma-Fiorentina, per i rapporti non magnifici tra le due tifoserie.

De Rossi ovviamente è stato interrogato anche sui Mondiali in Brasile, che lo vedranno protagonista in mezzo al campo. Il centrocampista ha raccontato di viverlo un po’ anche come un addio perché “so che è l’ultima volta che giocherò con Andrea Pirlo, e non ci voglio pensare, sennò mi commuovo”. Al genio juventino De Rossi si è legato in particolare nel 2006 quando, dopo la squalifica di quattro giornate, “Andrea mi ha portato a cena con la sua famiglia e mi ha fatto sentire che non ero un reietto”. A proposito di quella gomitata a McBride, De Rossi ha parlato in maniera piuttosto esplicita:

Me ne vergogno. Io non sono un killer, né una carogna, non rosico se qualcuno mi supera, non covo vendette, non colleziono cartellini rossi. E da piccolo non ero un attaccabrighe. Ma non sopporto che qualcuno mi stringa, mi trattenga, mi tocchi. È una questione fisica, mi dà fastidio, non ci vedo più, mi si gonfia la vena.

Dopo aver assicurato che non capiterà “quasi mai più” un caso del genere, il compagno dell’attrice Sarah Felberbaum ha detto che da allenatore non metterebbe il codice etico, voluto invece da Prandelli in Nazionale perché “anche il ragazzo più buono del mondo può andare in confusione”; aggiungendo, però, che “se c’è e lo sottoscrivi, devi anche accettarlo con grande serenità”:

Ho perso delle chiamate in nazionale per il codice etico, ma non posso né voglio fare la vittima. Lo ripeto: gomitate e cazzotti non sono un mio marchio di fabbrica.

Il calciatore ha poi ricordato la disfatta ai Mondiali del Sudafrica del 2010, parlando di mancanza di stimoli dopo una stagione molto dispendiosa con la maglia della Roma:

Sono andato proprio male. Ma ero fuso, vuoto, bruciato dentro. Con la Roma in campionato avevamo rincorso l’Inter fino all’ultima giornata. Gli stimoli non tornavano. In più quella spedizione non era proprio ben organizzata, anche perché il Sudafrica non ci dava libertà di spostamento. Dovevamo stare sempre attenti. Sì, dicevamo di essere concentrati sulla partita, ma in realtà avevamo fatto i calcoli, convinti di passare il turno. La testa era già avanti, ma i piedi purtroppo indietro. Non dico fossimo dei bugiardi, è che mentivamo anche a noi stessi.

Infine, il per nulla diplomatico giudizio sui social network (“Non capisco l’utilità di stare sempre connessi, di far sapere agli altri cosa pensi di un terremoto, di un incidente, di Mandela, che pure ho sempre ammirato, di una guerra. A chi frega il tuo pensiero, ammesso che tu ne abbia e ne possa sempre avere uno? Hai un compagno che si è fatto male? Ma che gli twitti a fare? Non è meglio chiamarlo al telefono? Parlarci, sentire cosa lui ha da dire. E magari andarlo a trovare appena puoi? Invece di postare che regali due limoni agli orfani serbi, non è meglio che mandi soldi in silenzio?”) e su Mario Balotelli:

Esagera, qualche stupidaggine la fa. In un momento di crisi come questo se giri in Ferrari non susciti molte simpatie. Ma ai tifosi dico: com’è che Balotelli è nero solo quando c’è da contestarlo? Perché quando segna nessuno lo scansa e tutti lo vogliono? Scommettiamo che se ai mondiali segnerà un gol a partita nessuno farà più caso al colore della pelle? Anzi, saremo orgogliosi di avere un italiano come lui.

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ultimo aggiornamento: 06-06-2014


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