In molti si sono chiesti il motivo che ha spinto Zlatan Ibrahimovic a tatuarsi il corpo con decine di nuovi tatuaggi, messi in mostra dopo il gol segnato al Caen. Per esibizionismo, per moda o per spavalderia (atteggiamento a cui è molto incline lo svedese) erano le risposte più gettonate. In realtà i cinquanta nomi impressi da qualche giorno sul corpo di Ibrahimovic appartengono a persone in difficoltà che vivono nei luoghi più difficili del pianeta. I tatuaggi rappresentano 805 milioni di persone, bambini per la maggioranza, che soffrono la fame nel mondo. L’attaccante del Psg vuole aiutare facendo da testimonial al Programma Alimentare Mondiale dell’Onu, diretto dall’italiana Marina Catena.

Ibrahimovic e i 50 tatuaggi con nomi – Foto

Ecco le sue parole pronunciate nel corso della conferenza stampa di lancio della campagna, tenutasi presso la sede del PSG a Parigi:

“Ovunque vada, la gente mi riconosce, mi chiama per nome, fanno il tifo per me. Ma ci sono dei nomi che nessuno si prende cura di ricordare, dei nomi per cui nessuno fa il tifo: sono quelli degli 805 milioni di persone che, oggi, soffrono la fame nel mondo. Ho tifosi che mi sostengono in tutto il mondo. D’ora in avanti, vorrei che questo sostegno andasse alle persone che soffrono la fame, perché sono loro i veri campioni. Così, ogni volta che sentirete pronunciare il mio nome, sarà a loro che dovrete pensare”.

La campagna si sviluppa a partire da 50 nomi che simbolicamente rappresentano i circa 80 milioni di persone che il WFP attualmente assiste nel mondo in Siria, in Iraq, in Sud Sudan, nella Repubblica Centrafricana, nei paesi colpiti dal virus Ebola come la Liberia, oltre che in paesi come la Bolivia, la Cambogia e la Repubblica Democratica del Congo dove l’organizzazione aiuta a costruire la resilienza.

Marina Catena ha saputo convincere Ibrahimovic: “Avevamo bisogno di un’icona internazionale del calcio che è l’unico sport a non conoscere confini. Con l’impegno sincero di Zlatan possiamo sperare di avere una grande visibilità“.

Ibrahinmovic, intanto, non esclude di recarsi personalmente in uno di questi luoghi:

“Ho avuto un’infanzia difficile, ma non è nulla paragonato a quel che soffrono queste persone. Questo progetto è cominciato due anni fa ed è culminato anche con quel gol che nessuno, me per primo, aveva programmato. Ma quando prepari le cose per bene, poi magari succedono per davvero. Mi ero immaginato qualcosa prima di scendere in campo, ma non così presto e così perfetto per la situazione. E’ stato un vero bonus. Non escludo di partire un giorno, ma non voglio programmare nulla. Quando lo feci a Barcellona sapete tutti come andò. L’importante è nessuno dimentichi gli 805 milioni di persone che soffrono la fame. Il mio è un impegno al 200%”. L’ammonizione per essermi tolto la maglia dopo il gol? Non ci ho pensato, ma lo avrei fatto anche se avessi rischiato di prendere un rosso. Ci sono cose molto più importanti di una partita di calcio e questa è una di quelle”.

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ultimo aggiornamento: 16-02-2015


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