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L’appello di Paolo Scaroni: “Chiedo i codici identificativi sulle divise”

Paolo Scaroni fu quasi ammazzato di botte nella stazione di Verona, il 24 settembre 2005 (qui la sua storia). Aveva raggiunto la città veneta per assistere all’incontro tra il Brescia e gli scaligeri e in quel giorno non poteva certamente immaginarsi che stava per andare incontro ad un brutale pestaggio. Le percosse subite lo mandano in coma. Si sveglia dopo 64 giorni sorprendendo anche i medici, ma resterà invalido al 100%. Per quel pestaggio gli otto poliziotti incriminati furono assolti dal Tribunale di Verona: sette di loro per insufficienza di prove, mentre un ottavo agente, alla guida della camionetta, per non aver commesso il fatto.

La sentenza assolutoria di primo grado è stata emessa nonostante la corte abbia ammesso che sia stato usato un manganello, che sono stati scagliati più colpi, che lo strumento era vietato dal ministero dell’interno, che la carica non è stata autorizzata, che il lancio di lacrimogeni era esagerato, che i poliziotti incaricati delle riprese non abbiamo immortalato la carica, che le lesioni potevano cagionare la morte, che le altre riprese siano state manomesse.

Gli agenti hanno agito, ovviamente, a volto coperto e secondo la Corte è impossibile stabilire chi ci fosse dietro quei passamontagna. Le responsabilità della polizia sono state accertate, ma non ci sono colpevoli. Nel processo d’appello Paolo spera di ottenere la giustizia che cerca da otto anni. Ecco la sua petizione in cui chiede che le divise delle Forze dell’Ordine siano munite di numero identificativo:

Nel settembre del 2005, al termine della sfida tra l’Hellas Verona e le Rondinelle, sono rimasto gravemente ferito in uno scontro tra tifosi ed agenti. Sono stato picchiato con il manganello durante una carica e poi sono rimasto molti mesi all’ospedale, due dei quali, in coma. Le mie funzioni fisiche sono state ridotte notevolmente, e nonostante la lunga riabilitazione a cui mi sottopongo da anni con molta tenacia, non avrò molti margini di miglioramento. Questo lo so quasi con certezza: l’unica cosa funzionante come prima nel mio corpo infatti è il cervello, attivo come non mai. Dopo quattro anni non ho ancora stabilito se questa sia stata una fortuna.

Ho perso il lavoro, sebbene abbia un padre caparbio che insiste nel mandare avanti la mia ditta, sottraendo tempo e valore ai suoi impegni. Ho perso la ragazza. Ho perso il gusto del viaggiare (il più delle volte quelli che erano itinerari di piacere si sono trasformati in veri e propri calvari a causa delle mie condizioni fisiche). Ho perso soprattutto molte certezze, relative alla Libertà, al Rispetto, alla Dignità, alla Giustizia e soprattutto alla Sicurezza. Nella maggior parte dei paesi europei, le forze dell’ordine indossano divise provviste di codici identificativi. Grazie a questo semplice codice, ogni agente potrebbe essere identificato da parte della Magistratura nel caso in cui si rendesse reo di condotte penalmente rilevanti, come nel mio caso. I poliziotti che mi hanno pestato erano tutti a volto coperto, quindi non identificabili. La sentenza del primo grado al mio processo ha portato all’assoluzione per insufficienza di prove di sette poliziotti imputati. Eppure la corte ha stabilito che è stato usato un manganello, che sono stati scagliati più colpi, che lo strumento era vietato dal Ministero dell’interno, che la carica della polizia non era stata autorizzata, che il lancio di lacrimogeni era esagerato per la situazione, che le lesioni potevano cagionare la morte e che le riprese dei fatti siano state manomesse.

La polizia è colpevole ma il fatto che i poliziotti avessero agito a volto coperto ha portato ad un’impossibilità di stabilire chi ci fosse dietro quei passamontagna. Le responsabilità della polizia sono state accertate. Ma non ci sono colpevoli, non possono esserci.

I codici identificativi non sono penalizzanti in alcun modo per le forze dell’ordine che non hanno nulla da nascondere, anzi rappresenterebbero anche per loro l’opportunità di riacquisire credibilità.

Chiedo che anche in Italia i codici identificativi sulle divise delle Forze dell’Ordine vengano resi obbligatori.

Paolo Scaroni



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