Tutto ha inizio all’alba del 2010 quando un giovanotto russo che ha da poco compiuto 22 anni si ritrova suo malgrado a Santiago del Cile, tappa intermedia di una viaggio intercontinentale che avrebbe dovuto portarlo da Quito a Madrid: Maksim Molokoyedov, fisico prestante e un passato da calciatore in patria, si sente crollare la terra sotto i piedi quando nell’aeroporto internazionale della capitale cilena gli controllano i bagagli. Frugano nei suoi effetti personali e non passano inosservati dei libri per bambini: dentro vi erano nascosti sei chilogrammi di cocaina. Maksim viene condotto in commissariato, per lui si spalancano le porte del carcere: traffico internazionale di droga, la condanna è pesante ma legittima. Tre anni di carcere.

Figlio di una famiglia borghese (madre professoressa e padre poliziotto), Molokoyedov si maledice e sta male per molto tempo per come sono andati i fatti, rimpiangendo i bei tempi quando giocava a calcio nelle giovanili dello Zenit, la squadra della sua città San Pietroburgo. Nel 2006, neanche ventenne, passò nella Dinamo di San Pietroburgo, quindi abbandonò gli studi per firmare il suo primo contratto semi-professionistico col Pskov-747 Pskov, squadra di terza serie russa: una carriera agli albori, nulla di eclatante, il sogno di molti ragazzi che amano il calcio. Poi l'”incidente” del 2010 e la nuova vita, dietro le sbarre. Maksim, dopo lo scoramento iniziale, accetta la pena e comincia a socializzare con gli altri detenuti: impara lo spagnolo e lo slang dei suoi compagni di cella (il “coa“), durante l’ora d’aria non disdegna partite a pallone.

In men che non si dica Molokoyedov diventa una piccola celebrità: lo chiamano “El Ruso” e coi piedi ci sa proprio fare; gli altri prigionieri lo ammirano con la palla tra i piedi e cominciano a rispettarlo, fino a quando (ha scontati 23 dei 36 mesi di reclusione) un ex calciatore cileno di nome Frank Lobos (un centrocampista del ’76 con un passato, tra le altre squadre, al Colo Colo e al Vasco de Gama) viene a conoscenza della storia e va a vedere Maksim. La voce si sparge e arriva addirittura al ct della Nazionale Cilena Claudio Borghi il quale sentenzia: “il russo” aveva abbastanza qualità per diventare un calciatore professionista. Così Lobos parla con le autorità carcerarie e riesce ad ottenere quello che desiderava: Maksim Molokoyedov firma un contratto per il Santiago Morning.

Più di 100 anni di storia tra le fondatrici del calcio in Cile, il Santiago Morning milita nella seconda serie cilena dopo una breve apparizione in Prima Divisione (che ha vinto una sola volta ormai 70 anni fa); il detenuto russo comincia una nuova vita: durante il giorno va ad allenarsi con la sua nuova squadra, sotto gli occhi vigile dei secondini, e la sera torna in gattabuia. Non nella solita cella però, perché viene trasferito in un settore più “morbido“, in accordo anche con la società calcistica che ora intende preservarlo in attesa della fine della sua pena. Maglia bianconera numero 13 sulla schiena, al debutto in amichevole sigla una doppietta: in carcere diventa una celebrità.

Sono molto contento, ma so che dovrò lavorare sodo. Sono passati tre anni dall’ultima volta che ho giocato a questo livello. Ho un contratto di sei mesi e sto guardando al futuro, ma sto anche cercando di vivere un giorno alla volta” diceva Maksim nell’agosto scorso, a sette mesi dalla libertà. E così le sue giornate diventano tutte uguali, tranne che per il giorno della partita: il russo, ormai 25enne, non è un fenomeno ma se la cava bene. Diventa titolare e gli viene rinnovato il contratto, così a febbraio lascia il carcere ma non viene espulso, coma da prassi per reati come il suo. Rimane in Cile: “Non voglio deludere chi mi ha offerto una seconda chance: voglio solo giocare a calcio. Un sogno? Portare il Morning in serie A“.

Due partite e 4 punti, il Santiago Morning ha esordito nell’Apertura della Primera B (girone Nord) con una vittoria per 2-0 sul campo dell’Union San Felipe: sulla panchina dei bianconeri della capitale ora siede un argentino di nome Mauricio Luis Giganti che ha subito dato fiducia a Molokoyedov schierandolo come attaccante esterno, anche se ha dovuto lasciare il campo dopo poco più di 20 minuti per problemi fisici. Nel secondo match non ha giocato ma sta lavorando sodo per rientrare presto e dare così una mano ai suoi compagni. Gli manca la famiglia, che dice di sentire su Skype quotidianamente, ma gli mancano anche i suoi soci di sventura in prigione: è tornato a trovarli, dice di aver imparato molto da loro e che non vede l’ora di andare in gol per dedicargli la rete. E il futuro? Chi lo sa, Maksim sa solo una cosa. Lui vuole rimanere in Cile.

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ultimo aggiornamento: 27-02-2013


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