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Calcio Estero

Accuse di doping, Ravanelli si difende: “Fin qui nessuna prova”

Fabrizio Ravanelli è stato sollevato dall’incarico di allenatore dell’Ajaccio lo scorso tre novembre. Dopo aver iniziato la carriera di allenatore nelle giovanili della Juventus, club con il quale da calciatore ha vinto quasi tutto, si è trasferito in Francia per iniziare la scalata come tecnico nel calcio che conta: pochi punti in carniere dopo le prime domeniche sulla panchina con l’Ajaccio ed è stato esonero. Prestazioni opache, quelle del club francese, condite anche da accuse – fin qui mai provate – di uso di farmaci non autorizzati. I media francesi, ma soprattutto quelli italiani, ci hanno messo molto poco a fare le solite associazioni: Ravanelli – Juventus – doping. Soprattutto perché c’è anche di mezzo Ventrone, il preparatore atletico della prima Juve di Lippi che correva per nove mesi di fila come un treno.

Parlando a Goal Italia, Ravanelli ha innanzitutto difeso l’enorme molte di lavoro tecnico svolto dal suo primo giorno all’Ajaccio.

“Non ho nulla da rimproverarmi, la mole di lavoro fatta è stata enorme e sono rimasto in ottimi rapporti con i giocatori, i quali mi chiamano praticamente ogni giorno. Presumibilmente l’ambiente corso non era preparato per uno stravolgimento dei metodi di lavoro che ho apportato e, probabilmente, anche il presidente non li ha intesi appieno – dice ‘Penna Bianca’, soprannome coniato ai tempi della sua permanenza alla Reggiana – . Ero il primo ad aprire il mio ufficio ogni giorno alle 7 del mattino per chiuderlo alle 20, sempre presente per illustrare e preparare le nuove tecniche di allenamento, per organizzare e pianificare la preparazione, la tattica, con il mio staff tecnico e medico. Purtroppo quando si sceglie di fare l’allenatore si può andare incontro anche a questi rischi. Sono dispiaciuto per non essere là ancora a guidare i ragazzi, detto questo sono tranquillo e sereno perché ho lavorato in grande trasparenza e massimo impegno. Peccato, è andata così”.

Dopo la gara di campionato disputata contro il Rennes, all’improvviso tutta la rosa di Ravanelli viene sottoposta a controlli antidoping i cui risultati non sono ancora stati resi noti. È bastato questo a giornali e TV per gridare allo scandalo accusando il tecnico dell’Ajaccio e il suo preparatore atletico di aver dopato i giocatori del club francese. A rincarare la dose, una presunta testimonianza del difensore Cedric Hengbart, che dopo essere stato messo fuori rosa da Ravanelli avrebbe dichiarato:

“Io tra i pochi a rifiutarmi di prendere certe cose. Non vado ad impasticcarmi a 33 anni. Ci consigliavano di prendere delle cose ed io sono stato tra i pochi a rifiutarmi. Ho 33 anni e dieci di carriera alle spalle, non vado ad impasticcarmi proprio adesso”.

Cosa sono queste ‘cose’? Se ad un giocatore viene offerto un medicinale la prima cosa che fa è leggerne il nome. L’impressione è che Hengbart non indichi quali siano i farmaci, per poter lasciare questo alone di mistero sulla vicenda ed evitare di incappare in una colossale figuraccia. L’Ajaccio, infatti, ha ammesso durante la gestione Ravanelli di aver fatto uso di creatina (il primo club in Italia ad usarla fu il Foggia di Zeman), proteine, amminoacidi e omega-3, tutti integratori acquistabili anche in supermercato. Da qui la difesa strenua di Fabrizio Ravanelli:

“Anzitutto il termine doping è a dir poco improprio e ingannevole – prosegue il tecnico a Goal Italia – perché mai nessuno in Francia ha usato questa espressione sui giornali. La vicenda è uscita, ovviamente, prima in terra transalpina e, il giorno dopo, tutto era stato archiviato. In Italia, invece, si è costruito, ad arte, un polverone mediatico davvero sconveniente e di pessimo gusto. Primo: un mio giocatore non mi ha mai accusato di somministrare doping, ma è stato strumentalizzato da alcuni giornalisti che ho già provveduto a querelare e se la vedranno con me in tribunale – dice ancora – . Ho sempre distribuito, in accordo con lo staff medico, degli integratori e degli alimenti, null’altro e nulla di diverso, altro che doping. In secondo luogo, non capisco perché tutto è stato incentrato sul mio nome e quello di Ventrone, senza citare anche Angelini, collaboratore-nutrizionista anche della As Roma”.

Insomma, un caso montato ad arte per infangare ancora una volta il nome di Ravanelli e di conseguenza quello della Juventus, uno degli sport più amati da tanti milioni di italiani:

“Insomma, in Italia qualcuno ha giocato sul mio cognome – conclude Ravanelli – anche a costo di non dire la verità: gli integratori che davo ai miei calciatori sono quelli che si possono trovare nel supermercato davanti a casa. Integratori necessari a chi fa sport, e non solo calcio, per recuperare dopo lo sforzo fisico, spero sia chiaro il concetto. Inutile dire che questa vicenda mi ha procurato amarezza e disappunto, ora tocca alla magistratura agire e certificare chi ha detto il falso. Io sono sereno, tranquillo e con la coscienza a posto”.



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