Inveire contro un taxista che ti taglia la strada e vederlo incassare gli improperi con un sorriso è il segno di una giornata molto diversa dalle altre. «Al di là di tutto, forza viola» dice, allontanandosi giulivo. È il giorno della Partita, il giorno della vendetta di trent’anni di frustrazioni, che passano da una coppa alzata in cielo dai nemici di sempre in una calda serata di Avellino. In piazza Santa Croce e in via dei Neri, siamo nel pieno centro di Firenze, all’ora di pranzo ci sono decine di magliette viola: non sono le solite ragazze americane che hanno comprato la maglietta della Fiorentina per quel colore curioso che fa tanto souvenir. No, sono babbi un po’ grassocci che accompagnano per mano i propri figlioletti: i primi col 33 di Gomez, i secondi col 49 di Pepito Rossi. Il gigante e il tappo, è la gag riprodotta ad ogni angolo di strada.

Nel pomeriggio, prima del Fiorentina-Juventus di Coppa Uefa, Campo Marte sembra prepararsi a un bombardamento aereo: mentre spuntano chioschi e gazebo in quantità degna di una Protezione Civile, nel quartiere dello stadio Artemio Franchi, il fornaio, il parrucchiere, il fioraio hanno abbassato la saracinesca a mezzogiorno; guai concedersi distrazioni, comincia il riscaldamento. Da parte loro, i giornali di città si danno agli straordinari: doppia versione, quella del trionfo, con la Fiorentina nelle prime pagine in caso di vittoria, un’altra più discreta, con la partita relegata nelle solite pagine sportive se arriva la disfatta. Di questo passo, a mezz’ora dal fischio d’inizio le strade sono già deserte. O lo stadio o la tv, non c’è alternativa possibile, è come una finale mondiale.

Al Franchi, però, c’è qualcosa di insolito nell’aria, non sembra la grande occasione: la Curva Fiesole intona l’«Oh Fiorentina» di Narciso Fontani con la passione di sempre, ma neppure uno straccio di coreografia. Anzi, a farla è la tribuna Maratona; che onta per gli ultras! La partita comincia e alla Juventus tremano le gambe: Vidal guarda rimbalzare il pallone a un metro davanti a sé senza mangiarselo come fa di solito, Pogba danza sulle punte, Asamoah scruta da lontano Cuadrado. La Fiorentina si esalta mentre i bianconeri ballano. Il pubblico gongola: «Stavolta unn’escan vivi» esclamano con garbo dalla tribuna autorità. Poco a poco, la trama dell’incontro cambia, Tevez tiene a galla la Juve, Gonzalo Rodriguez prende un giallo ineccepibile e nessuno in campo accenna a una protesta. Ma il pubblico sceglie la tradizione: «Ladri, ladri» rimbomba il Franchi.

Nella ripresa gli uomini di Conte prendono in mano la partita, ma non sfondano. I viola reggono fino a quando, complice qualche passaggio sbagliato di troppo, cominciano ad andare nel pallone e si sgonfiano. Il gol capolavoro di Pirlo arriva così, in mezzo al solito «Ladri, Ladri», ma pure in mezzo a qualche commento che presagiva la disfatta. Ma la partita è chiusa.

Col rosso a Rodriguez, le premesse per le solite recriminazioni ci sono tutte. Invece la sorpresa è di quelle eclatanti: dalle tribune la folla esce in silenzio, senza lamentarsi. La Fiesole addirittura compie il miracolo: restano tutti lì a sventolare le bandiere biancoviola e ad applaudire i propri giocatori, niente alibi arbitrali, niente risse, niente di niente. Che Montella abbia fatto il miracolo? Che con la pazienza abbia finalmente infranto il clima da bar Marisa, con quei vecchietti che la mattina giurano che sarà scudetto e il pomeriggio sono rassegnati alla serie B? La croce e la delizia di Firenze è sempre stato il suo pubblico, generoso, sì, ma tanto scostante da complicare ogni volta la vita della sua squadra. Un ambiente difficile che aveva bisogno (guai a dirlo) di essere gobbizzato.

Montella arriva in conferenza stampa e fa i complimenti alla Juve, la mette tra le prime sei squadre d’Europa, quella che conta, quella della Champions. Recriminazioni nessuna. Difende le sue scelte (anche quelle sbagliate come l’ectoplasma Vargas, va da sé), ma da lui neppure una parola da provinciale. È davvero il compimento di un miracolo: con buoni investimenti e qualche acquisto mirato, la Fiorentina può fare finalmente il salto di qualità, diventare una squadra di calcio. Poi un cronista chiede all’allenatore se Webb, l’arbitro, non gli porti bene. Chiedo lumi a un collega, mi spiega che quando l’aeroplanino giocava a Roma ebbe a che ridire con l’arbitro inglese in una partita di Coppa contro lo Shakhtar. E Montella che fa? «Andrà in pensione prima o poi» risponde ghignando. È l’asse fiorentino-romano, «l’asse der complotto»: da’i’gol di Graziani a er gol de Turone

Pareva troppo, il miracolo del Franchi si è compiuto a metà, o forse è durato solo il tempo di una doccia. Intanto i tifosi viola invadono la rete con la foto dello scontro tra Neto e Tevez ee il memorabile «rubate anche in Europa». Pareva troppo, effettivamente, perché il mondo cambiasse nel volgere di una settimana: dopo l’1-1 di Torino, a Firenze c’erano stati i caroselli per le strade quasi che i quarti di finale fossero una cosa timbrata dal notaio. C’è poco da fare, è un tripudio di celodurismo e complessi di inferiorità: Firenze tra poco avrà uno stadio tutto nuovo. Ma per la squadra di calcio dovrà aspettare ancora un bel pezzo.

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ultimo aggiornamento: 21-03-2014


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