“Vuoi una vita da tifoso irrequieta e
precaria, sempre messa alla prova? Benvenuto tra i laziali.
“Concordia parvae res crescunt”, recita il motto
sallustiano dei fondatori. Concordia un corno”.

E’ un viaggio lungo 40 anni quello che Stefano Ciavatta racconta nel suo #Vola (edito da Fandango), il manualetto del tifoso laziale. E’ l’altra faccia del tifoso biancoceleste, quella lontana dagli stereotipi dei grandi media, una voce diversa rotta dall’incertezza delle grandi tragedie (sportive e non) del club, orgogliosa davanti ai miti delle risurrezioni che hanno sorretto il club in questi ultimi 40 anni, possente quando arrivano i trionfi, a tratti imbarazzata di fronte alla noiosa equazione laziale=fascista. Ciavatta mette a nudo le certezze e le contraddizioni del suo essere tifoso laziale in una città come Roma. Un racconto del laziale che spesso non ha voce in capitolo, né in Curva e né sui giornali, l’occhio di un tifoso che ha visto quattro decadi di un club a cui è successo tutto e il contrario di tutto.

#Vola scorre via con leggerezza e un pizzico di fatalismo tipico dei laziali, ma senza mai piangersi addosso, tra citazioni letterarie mai saccenti e aneddoti di uomini che hanno scritto paragrafi e capitoli del club capitolino. Non ha pretese “enciclopediche” per la sua brevità, ma il carattere autobiografico del libro e la narrazione in prima persona fanno risaltare le sfumature di vita quotidiana di un tifoso legato a doppio filo sia allo spavaldo Giorgio Chinaglia (a cui è dedicato il primo capitolo) che all’introverso Alessandro Nesta, un ex laziale che, ontologicamente parlando, ex non lo sarà mai. Senza timore gli “Undici anni di B, ma tutti però” sono descritti intimamente perché in fondo “la Lazio è anche tutti questi anni di B“.

Nell’irrequietezza di una tifoseria il derby della Capitale rappresenta il punto più alto e più basso allo stesso tempo, l’inferno o il Paradiso. Qui il viaggio dell’autore si provincializza volutamente, ma senza mai diventare troppo triviale, ed entra in un mondo in cui vale quasi tutto, perché “a Roma bastano due squadre per farsi una guerra più incattivita di qualsiasi rivalità“. Un capitolo in cui non poteva mancare il riferimento al gol di Lulic in finale di Coppa Italia, la “sanatoria generale di tutti i derby della Lazio“: “Ha servito palla un ex galeotto, ha crossato un ex romanista, l’ha messa dentro un bosniaco di Mostar e sono corsi verso di lui un tedesco-polacco, un rumeno, un nigeriano e un albanese“.

Laziali si diventa” è la frase di apertura scelta per il secondo capitolo, in antitesi con il motto di tutte le tifoserie del mondo (“….” si nasce). Un codice non scritto per un Fight club che non ha mai radunato adesioni facili, una sorta di monito valido anche per le nuove generazioni. Si diventa anche e soprattutto non avendo legami con Roma città e le righe dedicate agli “stranieri” che hanno oltrepassato il Grande Raccordo Anulare tratteggiano i percorsi di una Lazio che ingloba tutti, sotto i colori scelti da chi idealizzava lo spirito olimpico.

Conosciuto un laziale te ne restano gli altri“, scrive l’autore per tracciare nelle righe successive l’eterogeneità della tifoseria: “C’è il crepuscolare, il pessimista cosmico, l’introverso, l’euforico, lo sfrontato, c’è il sapiente e il cronista, il poeta e l’agitprop, il trasteverino e il modenese, i ragazzi del Tufello e del Quadraro, quelli di Roma Nord e di Monteverde, i veneziani e gli svedesi, il fascista e il compagno, la bandiera inaspettata e l’amico traditore“. Il libro si chiude con “Lazialità”, un neologismo che non è più un neologismo, l’esplicito invito a vivere il club in maniera spontanea (forse in riferimento all’ultimo periodo di contestazione verso la dirigenza), lasciandosi alle spalle tutte le incomprensioni, le contorsioni dialettiche e le sabbie mobili degli ultimi anni, da tifosi veri perché “da qualche parte la Lazio è sempre in vantaggio“.

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ultimo aggiornamento: 07-09-2014


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