Andrea Pirlo è tanto schivo di fronte alle telecamere quanto estroverso fuori dal rettangolo verde: scherzi e battute, una bella famiglia e un’azienda vinicola nel bresciano, il geometra del centrocampo della Juve ha deciso di rendere pubblica la sua verve frizzantina sempre decantata dai compagni di squadra ma mai esplicata dal diretto interessato. Una carriera da primo della classe, in principio come fantasista con il numero 10 appiccicato addosso tra Brescia, Reggina e Inter, quindi con compasso e squadretta avamposto del centrocampo del Milan grazie a Carlo Ancelotti. Dieci anni di Milan a vincere tutto e ancora di più (come ad esempio un Mondiale da protagonsita con l’Italia di Lippi), poi la Juve: è un Pirlo a tutto tondo quello che si racconta nella autobiografia scritta a quattro mani con Alessandro Alciato (giornalista Sky) che uscirà il prossimo 30 aprile edita da Mondadori con il titolo “Penso quindi gioco“.

E come ogni autobiografia che si rispetti sono già uscite le succulenti anticipazioni, riportate dalla Gazzetta dello Sport. Dall’ipocondria di Alessandro Matri, suo inseparabile compagno di stanza in bianconero, alle lacrime di Alex Del Piero dopo la partita d’addio con l’Atalanta, dallo scherzo a Rino Gattuso con la collaborazione di Daniele De Rossi alle batoste in rossonero di La Coruna e Istanbul. Ma è quando parla di mercato che le sue rivelazioni assumono un sapore particolarmente gustoso con indiscrezioni difficilmente inimmaginabili: i contatti segreti con Guardiola che voleva portarlo al Barcellona solo pochi anni fa alla chiamata di Fabio Capello che ne voleva fare il faro del Real Madrid. Corteggiamenti rispediti al mittente perché Adriano Galliani gli garantì un contratto in bianco per 5 anni al Milan. Fino alla primavera del 2011: Pirlo ha superato la trentina, il Diavolo gli propone un contratto annuale, lui si sente ancora giovane e al centro del progetto:

“‘Andrea, il nostro allenatore Allegri pensa che se resti non potrai più giocare davanti alla difesa. Per te avrebbe pensato a un altro ruolo: sempre a centrocampo, ma sulla parte sinistra’. Piccolo particolare: davanti alla difesa pensavo di poter dare ancora il meglio di me. Un pesce quando il mare è profondo respira, se lo spostano sotto il pelo dell’acqua si arrangia, ma non è la stessa cosa. ‘Anche con te in panchina o in tribuna abbiamo vinto lo scudetto. E poi, Andrea, da quest’anno la politica della società è cambiata. A chi ha più di trent’anni, proponiamo il rinnovo di contratto solo per dodici mesi’. Altro piccolo particolare: non mi è mai capitato di sentirmi vecchio, neppure in quel preciso momento”.

Il fuoriclasse di Brescia è ambizioso e senza troppi sentimentalismi decide che è ora di cambiare aria. Il Milan se ne fa una ragione e Galliani, per tutta risposta, lo congeda con un regalo che a Pirlo pare beffardo: una semplice penna marchiata Milan con cui l’ad rossonero si augura non firmi un contratto con la Juve. Non fu accontentato. Ma prima di allora fu vicino a cedere alle lusinghe dell’Inter che tramite Leonardo aveva fatto un sondaggio: il brasiliano che era da poco passato sull’altra sponda dei Navigli gli parò della Pinetina in toni entusiastici, lui stava pensandoci quando Leonardo se ne andò di soppiatto a Parigi. La cosa finì lì. Quindi alla sua porta bussò la Roma:

“‘Faremo una grande Roma’, continuava a ripetermi Baldini, ma degli americani che avevano acquistato il pacchetto di maggioranza mi diceva poco e niente. Mi sono insospettito. Se in quel momento la società ci fosse stata, se fosse stata vera e non presunta, viva sulla carta e non solo a parole, magari ci sarei anche andato. La città è bella, la gente speciale, il clima splendido, il fatto è che in quel periodo il futuro presidente, Thomas Di Benedetto, nessuno l’aveva ancora visto. E l’ipotetico terzetto dirigenziale di cui si parlava, Pallotta-D’Amore-Ruane, mi faceva venire in mente più che altro il trio di autori di una canzone del Festival di Sanremo”.

Infine la Juve e a quel punto i pensieri di Pirlo si infiammano tradendo una passione per i colori bianconeri difficilmente immaginabili 24 mesi fa. Grande merito del suo entusiasmo verso la Vecchia Signora va ad Antonio Conte che sin dal primo giorno di ritiro a Bardonecchia pungolò l’orgoglio della squadra e pose le basi per due anni al massimo. Andrea racconta di allenamenti undici contro zero come il grande Milan di fine anni ’80:

“Se Arrigo Sacchi era un genio, allora lui cos’è? Mi aspettavo uno bravo, ma non così bravo. Pensavo a un allenatore con tanta grinta e altrettanto carisma, invece ho scoperto che anche tatticamente e tecnicamente ha da insegnare a molti suoi colleghi”.

Un allenatore, Conte, con tanta grinta, a volte forse pure troppa:

“Tornassi indietro, solo una cosa non rifarei: scegliere il posto vicino a Buffon dentro il nostro spogliatoio allo Juventus Stadium, esattamente davanti alla porta d’ingresso. È il punto più pericoloso di tutta Torino, soprattutto tra il primo e il secondo tempo delle partite. Nell’intervallo Conte entra e, anche quando stiamo vincendo, lancia contro il muro – e quindi contro il mio angolino – tutto quello che trova, quasi sempre delle bottigliette di plastica, piene d’acqua. Frizzante. Molto frizzante. Diventa una bestia. Non si accontenta mai, c’è sempre un dettaglio che non gli va a genio, vede in anticipo ciò che può succedere nei successivi quarantacinque minuti. Una volta, ad esempio, perdevamo contro il Milan e non riusciva a farsene una ragione: ‘Contro quelli! Non capisco come non riusciamo a vincere contro quelli! E giocano pure male'”.

Un volumetto che si preannuncia dunque molto molto interessante.

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