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La storia di Massimo Bruno, il giovane paisà dell’Anderlecht capocannoniere in Belgio

Se i genitori non fossero emigrati in Belgio, lui da Catania e lei da Napoli, probabilmente Massimo Bruno sarebbe stato uno dei tanti ragazzi bravi col pallone ma destinati a una vita lontana dai riflettori del calcio che conta: Boussu, provincia vallona dell’Hainaut, due ragazzi italiani si conoscono e decidono di sposarsi; nel settembre del 1993 nasce Massimo Bruno, papà Alfonso gli appiccica addosso la maglia della Juve e gli regala un pallone. A sei anni lo iscrive alla scuola calcio, viene tesserato dal Frameries, il piccolo “italiano” dimostra subito che ha qualità; Mons, Anderelcht, di nuovo Mons, quindi Charleroi, la famiglia non si risparmia a sostiene la passione del figlio che inizia a girovagare per la Vallonia, unico obiettivo diventare calciatore.

Gli anni della sua infanzia si dividono tra inverni rigidi in Belgio ed estati spensierate in Sicilia, poi però il gioco comincia a farsi serio, esordisce giovanissimo con la prima squadra dello Charleroi, le selezioni giovanili del Belgio si accorgono di lui. Se ne accorge anche l’Anderlecht, che non aveva cancellato il suo nome dal database, dalla sua apparizione a Bruxelles tra i 9 e i 13 anni. Se lo riprende e comincia la scalata. Torneo di Viareggio, primavera 2011: Bruno c’è, gioca bene, nella gara inaugurale contro l’Inter di Stramaccioni dimostra tutte le sue qualità: stantuffo di fascia, laterale alto, salta l’uomo con facilità, è agile e bravo coi piedi, all’occorrenza dà una mano in attacco. I biancomalva della capitale si fregano le mani.

E arriviamo alla stagione scorsa. La dirigenza vuole mandarlo in prestito a farsi le ossa, il tecnico John van der Brom chiede pazienza: vuole testarlo in ritiro, sia mai che torni utile in Jupiler League. Gol e buone prestazioni, ancora in rete all’esordio in campionato contro il Genk, per Bruno si spalancano le porte della prima squadra, a tutti gli effetti. E così si ritrova addirittura a giocare in Champions League, da titolare: sia all’andata che al ritorno contro il Milan, Boateng gli regala la maglia dopo la partita di San Siro (ma gioca anche contro Zenit e Malaga), in patria va ancora meglio. Trentatré partite e sette gol, intanto prima di Natale arriva il rinnovo del contratto (fino al 2017). Per lui si spalancano le porte dell’Under 21 belga allenata dall’ex Udinese Johan Walem, il Granada prova a prenderselo in estate, l’Anderlecht è irremovibile.

E arriviamo ai giorni nostri. Giovedì sera a Rieti è stato il migliore insieme a Ferreira-Carrasco delle giovani leve belghe, grande futuro avanti a loro come dimostrato dal successo senza troppi patemi contro l’Under 21 azzurra allenata da Gigi Di Biagio. Una serata magica sul suo suolo d’origine, ma è nella Mitteleuropa che Bruno gioca e vuole giocare; e lo vogliono anche i tifosi che in questo avvio di Jupiler League hanno potuto applaudire alle prodezze del giovane paisà: 5 gol nelle prime 5 partite (a secco nell’ultima, persa, contro lo Zulte-Waregem), capocannoniere insieme a Santini del Kortrijk. Dopo Italia – Belgio di tre giorni fa la Gazzetta lo ha intervistato:

“Sta andando tutto bene, sia per i gol sia per le buone prestazioni. Questo è il mio secondo anno in prima squadra, il primo è andato alla grande, siamo diventati campioni del Belgio. E ora c’è la Champions League. Ma far bene in Italia è sempre un grande momento per me. Giocare in Italia mi piacerebbe, per le origini e perché la Serie A è un campionato importante. E poi l’Italia è il più bel paese del mondo. Giocare per l’Italia di Prandelli? In teoria sì, vediamo se mi chiamano. Che farei se mi arrivasse una telefonata? Certo che ci penserei, mi piacerebbe. Ma mi sa che è difficile. Non so se qui c’è bisogno di me”.

Teniamolo d’occhio.



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